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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2012 alle ore 20:29.

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Walter Benjamin (Alinari)Walter Benjamin (Alinari)

Bambino disordinato. Ogni sasso che trova, ogni fiore che raccoglie e ogni farfalla che cattura sono per lui l'inizio di una collezione, e una sola grande collezione è, ai suoi occhi, tutto ciò che egli comunque possiede. Nel bambino questa passione mostra il suo volto autentico, il severo sguardo da indiano di cui negli antiquari, nei ricercatori e nei bibliofili non resta che un bagliore offuscato e maniacale. Come si affaccia alla vita, egli è già un cacciatore. Caccia gli spiriti, di cui fiuta la traccia nelle cose; tra spiriti e cose gli passano anni interi, durante i quali il suo campo visivo si conserva libero da presenze umane. Gli accade come nei sogni: non conosce nulla di duraturo; le cose gli succedono, crede lui, gli capitano, gli si presentano. I suoi anni di vita nomade sono ore nel bosco dei sogni. Da là trascina a casa il bottino per pulirlo, consolidarlo, liberarlo dagli incantesimi. I suoi cassetti devono trasformarsi in arsenale e serraglio, museo del crimine e cripta. «Mettere in ordine» vorrebbe dire distruggere un edificio pieno di castagne spinose che sono mazze ferrate, cartine di stagnola che sono un tesoro d'argento, cubetti delle costruzioni che sono bare, piantine grasse che sono totem e monetine di rame, scudi di guerrieri. Da un pezzo il bambino aiuta a mettere in ordine l'armadio della biancheria della mamma e la libreria del papà, ma nella sua riserva è ancora ospite nomade e bellicoso.

Bambino nascosto. In casa conosce già tutti i posti dove nascondersi e ci ritorna come in una casa dove si è sicuri di ritrovare tutto come lo si è lasciato. Il cuore gli batte forte, trattiene il fiato. Qui è chiuso dentro il mondo della materia. Esso gli appare distinto in modo straordinario, e lui gli si accosta senza parole. Come uno che stanno per impiccare e che si rende conto di cosa sia il legno e cosa sia la corda. Il bambino che sta dietro le tende diviene a sua volta qualcosa di bianco e svolazzante, un fantasma. Il tavolo da pranzo sotto il quale si è nascosto fa di lui l'idolo ligneo del tempio, dove le gambe intagliate sono le quattro colonne. E dietro una porta è anche lui porta, è coperto da essa, maschera massiccia e, da stregone, lancerà l'incantesimo su tutti quelli che ignari varcheranno la soglia. Per nessuna ragione deve essere scoperto.

Quando fa le boccacce, gli dicono che se l'orologio batterà le ore lui resterà così, per sempre. Quanto ciò sia vero lo capisce nel nascondiglio. Chi lo scopre può farlo rimanere idolo di legno sotto il tavolo, intesserlo per sempre nelle tende come un fantasma, imprigionarlo a vita nella porta massiccia. Per questo, quando viene preso da chi lo stava cercando, fa uscire con uno strillo acuto il demone che l'aveva così tramutato perché non lo trovassero: anzi non aspetta neppure il momento, previene l'altro con un grido di auto-liberazione. Per questo la lotta con il demone non lo stanca mai. La casa è, in essa, l'arsenale delle maschere. Però, una volta l'anno, in angoli misteriosi, nelle sue orbite vuote, nella sua bocca immobile, si celano dei doni. L'esperienza magica si fa scienza. Il bambino, architetto della tetra casa paterna, ne rompe gli incantesimi e cerca uova pasquali.

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