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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2012 alle ore 18:03.

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Chi comincia a fumare a 15 anni ha «una probabilità di morire di cancro tre volte maggiore rispetto a chi inizia 10 anni più tardi». È uno dei risultati dello studio «Generazione in fumo, strategie per non cominciare, strumenti per smettere», presentato al Senato dall'associazione I-think presieduta da Ignazio Marino. Dati dati emerge anche che tra i 15 e i 24 anni fuma il 15,9% dei maschi e il 21,8% delle femmine e che circa l'87% dei fumatori inizia entro i 20 anni.

Ogni giorno, si legge nello studio, condotto sulle principali ricerche italiane e internazionali, quasi centomila giovani iniziano a fumare, e in Italia sono circa un milione e mezzo. «La vita di un fumatore abituale - ha aggiunto Marino, presidente della commissione d'inchiesta sul Ssn - è di circa 10 anni inferiore rispetto a quella di un non fumatore, e il consumo giornaliero di sigarette (circa 10) non si discosta da quello di un adulto. Dallo studio I-think emerge anche che, nonostante rimanga ancora bassa la percentuale di utilizzo, la sigaretta "rollata", realizzata con cartine e tabacco trinciato, è quella che negli ultimi anni ha avuto il maggior incremento tra la popolazione giovanile (per il prezzo dimezzato rispetto al pacchetto dovuto anche alla più bassa tassazione).

«Non si può mettere sullo stesso piano l'interesse industriale e l'interesse generale alla tutela della salute», ha detto il ministro della Salute, Renato Balduzzi, nel suo intervento alla presentazione dello studio. «Anche per questo - ha aggiunto Balduzzi - dico all'Unione Europea e al commissario alla Salute, John Dalli, di andare avanti». A livello europeo «l'Italia può dare il suo contributo in questo campo, è una lotta che stiamo portando avanti: con gradualità e giudizio, ma l'importante è che vada avanti».

«Come emerge dalle risultanze ben circostanziate dello studio presentato oggi - ha dichiarato Giovanni Carucci, vice presidente di British American Tobacco Italia - è necessario concentrare gli sforzi sulla prevenzione e l'informazione e non su provvedimenti puramente interdittivi. Al contrario di ciò che sembra emergere a livello europeo, dove si stanno elaborando misure irragionevolmente restrittive, fino a rasentare il proibizionismo, che non ridurranno l'incidenza del fumo minorile ed aumenteranno il contrabbando».

Il fumo, sottolinea lo studio, provoca ogni anno in Italia settantamila morti (il 15% del totale), attribuibili a malattie legate al consumo di tabacco, dall'enfisema alla broncopolmonite, con costi diretti per il Servizio Sanitario Nazionale che sono passati, ha detto Marino, da 4,217 miliardi del 2005 a «circa 7 miliardi di euro nel 2011, rappresentando il 7% del budget complessivo, non poco, a maggior ragione in una fase di tagli».

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