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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2012 alle ore 08:19.

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Da sempre l'umanità ha definito le ragioni delle aggregazioni comunitarie ricorrendo alla capacità esplicativa di miti fondativi. Miti, di volta in volta, soprannaturali, o ripresi dai ritmi della natura; religiosi oppure laici; ispirati alla forza di un eroe invincibile, o alla saggezza superiore di un sovrano: in un susseguirsi di modalità comunque dipanate lungo i fili conduttori di antiche leggende, di spezzoni di documenti, di memorie personali intrecciate a suggestioni collettive, dove la correttezza della narrazione lasciava il posto a finalità politico-sociali interne alle esigenze di quel presente che, in una determinata fase storica, dava corpo alla storia delle proprie origini.
Ne è prova questa accurata ricostruzione della vicenda bolognese, svolta con ricchezza documentaria e sicurezza interpretativa, da Francesca Roversi Monaco, cui preme capire i perché del mutarsi del mito collettivo cittadino costruito agli albori del Comune medievale e poi svanito nel corso dei secoli successivi.
Alla metà del Duecento, infatti, la città, nel pieno del conflitto tra impero e papato, protesa verso la Romagna e verso Modena a fianco del pontefice romano contro Federico II, in una battaglia svoltasi a Fossalta sul Panaro nel 1249, fece prigioniero Enzo, uno dei figli dell'imperatore, cui erano delegati compiti di rappresentante del padre nella penisola. Un'impresa che sanzionò la forza comunitaria cittadina, proprio mentre si andavano definendo al suo interno nuovi rapporti di potere affidati alla superiorità della norma scritta, così come veniva dettata dai dottori in legge del suo già vitale ateneo e utile a garantire il potere del popolo, inteso nelle sue componenti mercantili e artigiane in grado di esprimere un governo alternativo a quello nobiliare.
Ma fu un breve momento, dove la gloria militare si collegò, tanto alla virtù di una guida politica partecipata dalla cittadinanza, quanto all'espressione migliore di questa rappresentata dalle argomentazioni di un diritto capace di rispondere con dignitosa fermezza alla dura richiesta del sovrano svevo di liberazione del figlio.
E proprio quando la più che ventennale prigionia di Enzo (dorata, per altro, se fiorirono racconti sui suoi rapporti con intellettuali locali e sui figli che generò con giovani bolognesi di vario lignaggio) finì con la sua morte nel 1272, prese avvio per Bologna tutt'altra storia, segnata da faide interne, ambizioni signorili, subordinazione sempre più stretta alla Santa Sede fino a divenire la seconda città dello Stato Pontificio. Una situazione in definitiva rispondente alle sue dimensioni e che anzi garantiva protezione internazionale in cambio di una soggezione a Roma rispetto alla quale la distanza stessa consentiva margini di autonomia.
Certo, però, che quelle istanze di gloria militare e di protagonismo diplomatico che l'avevano portata alla reclusione del principe svevo non avevano più motivo di sussistere. Non potevano risiedere lì i motivi di riferimento della storia cittadina, al punto che ben presto la stessa figura di Enzo si trasmutò, da nemico, in una sorta di nobile residente nel castello costruito per lui sulla piazza centrale, col quale la Bologna aristocratica amava dialogare, perdendo in racconti fantasiosi ogni corposità storica del personaggio e dell'evento.
Non restò, dunque, a Bologna, svanito l'autogoverno municipale e ogni connessa velleità di potersi misurare – come nel Duecento – con orizzonti più vasti rispetto al suo territorio, che rifugiarsi in un altro mito costitutivo, comunque aperto al mondo, quello del ruolo culturale e di trasmissione dei valori di civile convivenza, affidato alla sua università. A quell'Alma Mater che era sorta, sul declinare dell'XI secolo, dal basso, per volontà dei suoi studenti e dei suoi docenti, e che quindi, in fondo, sapeva riprendere il significato migliore del precedente richiamo a Enzo: la sua autonoma forza di esercitare una funzione in grado di proiettare Bologna ben oltre i suoi modesti confini. Con tale significato seppe nobilitarla Carducci, docente nelle sue aule, all'indomani dell'unità risorgimentale e a questo cerca di continuare a richiamarsi, nel mutarsi dei tempi, l'Ateneo e con esso la città tutta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Francesca Roversi Monaco, Il Comune di Bologna e Re Enzo. Costruzione di un mito debole, Bononia University Press, Bologna, pagg. 244, € 35,00

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