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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2012 alle ore 08:20.

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Nell'immagine classica del volto del Buddha, secondo un testo antico, «la testa dev'essere a forma d'uovo, le sopracciglia a forma di arco indù, le palpebre devono somigliare a petali di loto, le labbra avere la pienezza dei frutti di mango... ». Su questo volto, mirabilmente plasmato in India nel periodo Gupta (IV-V secolo d.C.), la luce si diffonde dolcemente senza contrasti: c'è infatti un unico aggetto, quello delle palpebre semichiuse e l'ombra creata allude allo sguardo del Risvegliato che guarda dentro di sé. È lo stato definito «non triste, non lieta, beata serenità». Forse qui il sorriso esplicito è assente, ma irradia silenzioso come un presagio e un suggello, favorito dall'eliminazione di passione, odio, confusione, evocato da benevolenza (e amore), compassione, gioia empatica, equanimità. È il sorriso di chi è identificato interamente con la propria verità attuale, senza opinioni e senza avversioni, un sorriso che talora dilagherà verso gli altri, come oggi spesso accade sulle labbra del Dalai Lama.
Le divagazioni sono suggerite dal tema «La sapienza del sorriso» felicemente scelto per Torino Spiritualità 2012: a riferire del buddhismo sarà in particolare il grande specialista Richard Gombrich sulla traccia dell'ultimo suo libro, Il pensiero del Buddha, da pochi giorni uscito per Adelphi nella traduzione accuratissima del compianto Roberto Donatoni. L'opera si annuncia ricca di conclusioni originali, non condivise da tutti gli studiosi, ma esito di presupposti metodologici conseguenti, che l'autore saggiamente chiarisce solo al centro del volume, cioè dopo averne offerto diverse applicazioni. Fra questi la grande attenzione al contesto storico e al retroterra religioso jaina e brahmanico della predicazione dell'Illuminato – siamo alla metà del V secolo a.C. circa – come appunto il costante riferimento alla terminologia brahmanica, riusata spesso in maniera capovolgente. Per esempio, asserisce Gombrich, il «Buddha adottò la parola brahmanica per "rituale" e la impiegò per indicare l'intenzione etica. Quest'unica mossa ribalta l'etica brahmanica, legata alle caste». Altro caposaldo di grande rilievo è trattare i termini buddhisti decisivi «esplorandone l'estensione semantica e discutendone gli usi, sia letterali che metaforici», in modo da rendere ben comprensibile al lettore di oggi, all'oscuro del dibattito originario, che cosa il Risvegliato stesse realmente insegnando. Riguardo agli usi metaforici, centrale è il ricorso al "fuoco" (cap. VIII, di grande suggestione), che segna l'incipit del Sermone omonimo: «Tutto, o monaci, è in fiamme», come «il fuoco della passione, dell'odio e dell'illusione», impermanente eppure perpetuamente divampante.
Fra i diversi temi trattati con ampiezza – per tornare nei dintorni di Torino Spiritualità – c'è quello dell'ironia, declinato da Gombrich nella forma della satira sociale di cui il Buddha si serve in maniera umoristica, quasi sempre senza acidità, nei confronti di jaina e brahmani. Obiettivo più frequente questi ultimi, che «vivono col cibo offerto dai fedeli», ma che sono intrisi «delle loro pretese di superiorità gerarchica», contrarie alla leggerezza del sorriso e spesso si abbassano a comportamenti «spregevoli e vili». Non ultimi quelli intesi ad accrescere gli incassi. Gli esempi, tratti da Il discorso della rete di Brahmâ (trad. C. Cicuzza) forse non a caso posto all'inizio dell'intera raccolta dei Sutta nel Canone più antico, spaziano: chiromanzia, «incantesimi... per la buona e la cattiva sorte», spiritismo, predizioni (politiche!), o «sull'incolumità e il pericolo, sulle malattie e la buona salute», vere e proprie fatture paralizzanti, procurata virilità o impotenza e via enumerando... tutti certo riferibili con immediato cortocircuito ai molti pseudoguru oggi in circolazione che, a differenza dei Maestri zen secoli dopo il Buddha, ben di rado rivolgono il sorriso a se stessi per ricordarsi che la via della conoscenza è sempre infinita, mentre ogni risultato in apparenza raggiunto vale solo un istante.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Richard Gombrich, Il pensiero del Buddha, traduzione di Roberto Donatoni, Adelphi, Milano,
pagg. 288, € 30,00

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