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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2012 alle ore 19:12.

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Per i nuovi crepuscolari dell'editoria, spaventati da Amazon e dai megastore, una bancarella di vecchi libri è come un bioparco dove sopravvive miracolosamente la "bibliodiversità"minacciata dalla specie rapace dei bestseller. Ma è bene scrollarsi di dosso questi miraggi sentimentali: vista da vicino, una bancarella ricorda più spesso un paesaggio dopo la battaglia, una sanguinosa distesa di soldati caduti. Caduti sì, ma di quali guerre? Non sempre si tratta di lotte darwiniane interne al mondo dell'editoria. Anzi, a saper frugare tra i vecchi libri con un grano di discernimento si potrebbe ricostruire, a tentoni, la storia profonda di un Paese. È quel che ho pensato quando, girovagando tra le bancarelle dietro la stazione Termini di Roma, ho dovuto constatare uno degli effetti collaterali della guerra politico-giudiziaria inaugurata nel 1992 con l'arresto di Mario Chiesa: da allora i banchi dei remainders sono invasi da quel che resta della vecchia editoria socialista. La parte del leone la fanno i libri della Sugarco di Massimo Pini, che della casa editrice craxiana fu fondatore e animatore fino al 1993, e che è morto proprio il mese scorso. Si pensi ciò che si vuole delle molte ombre di una stagione politica e di un sistema di potere, ma quei libri, a risfogliarli oggi, rievocano un'impresa intellettuale elettrizzante. SugarCo pubblicava i grandi dissidenti dei regimi dell'Est, i primi libri non agiografici sulla Cuba di Castro, le analisi della sinistra antitotalitaria e antiburocratica, perfino i rari testi garantisti sulla giustizia. Tra questi, un libro quasi introvabile: La degenerazione del processo penale in Italia (1988) di Agostino Viviani. L'avvocato ed ex senatore socialista, già allora in rotta con il Psi, denunciava lo strapotere dei pubblici ministeri, l'annichilimento della difesa e, soprattutto, la piega inquisitoria che dai processi di mafia si stava allargando a tutta l'azione giudiziaria. Una piega per la quale, diceva Viviani, in barba al principio per cui la responsabilità penale è personale, «acquista penale rilievo, oltreché il fatto commesso, l'appartenenza ad una certa area»: secondo questa logica viziata si è colpevoli perché si respira aria corrotta, e il meno che si possa dire di chi è immerso nel male fino al collo è che non poteva non sapere. Ecco, rileggendo quelle pagine ho pensato che ci sono terremoti così potenti da distruggere anche gli strumenti di previsione dei terremoti. Salvo ritrovarne i resti, a metà prezzo, tra le macerie.

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