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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2012 alle ore 19:13.

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Van Morrison, Cleaning Windows (1982)
La Asbury Park springsteeniana è un luogo dello spirito come la Duluth di Dylan o il paesino da cui Johnny B. Goode parte con la chitarra per arrivare fino alla metropoli dove finalmente vedrà il proprio nome scritto in grassetto in cima al cartellone. La Belfast del "teosofo" Van Morrison, invece, è il luogo dei dolci ricordi, in senso spesso letterale e proustiano: in A Sense of Wonder, ad esempio, dopo aver rievocato «Alfie il Piccolo al cinema Castle in Castlereagh Road» che «fischietta O sole mio» e «il cavallo di Johnny Mack Brown», Van the Man snocciola questo catalogo di madeleine: «Uno sformato di carne e patate al Davy's Chipper, ciambelle, torta di pere, biscotti al cioccolato, dolcetti al cocco».

Il ritratto più smagliante della sua Combray, Van Morrison lo compose nel 1982. Era un brano che s'intitolava Cleaning Windows e che appunto rievocava il periodo, agli inizi degli anni Sessanta, in cui lavorava come lavavetri e suonava il sassofono nei Monarchs: «A quei tempi raccoglievo le offerte, pulivo le finestre a lunetta dentro e fuori / e suonavo il sassofono in una bettola nei fine settimana. / Ascoltavo Leadbelly e Blind Lemon per le strade in cui ero nato, / e anche Sonny Terry, Brian McGee / e Muddy Waters che cantava I'm a Rolling Stone. / Tornavo a casa e leggevo il libro di Christmas Humphrey sullo zen / e poi – tanto va la gatta al lardo… – Dharma Burns e On the Road di Kerouac».

Ecco qui l'educazione scombiccherata e affascinante dell'artista da giovane, mentre i sassofoni ricamano su un irresistibile rhythm & blues: «Volete il mio profilo? Sono un lavavetri felice. / Non ho tempo da perdere: arrivederci a quando il mio amore si sarà rafforzato. / Tesoro, attenta, non farlo scivolare! / Sto facendo il primo turno pulendo i vetri (al numero 136)».

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