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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2012 alle ore 16:31.

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La domenica mattina East Harlem è silenziosa. Sulla 109th Street le prime macchine cominciano ad arrivare poco prima delle dieci. Scendono alcuni pensionati, in tuta o in pantaloncini corti. Appoggiando il piede al paraurti della macchina, Carlos Diaz, 63 anni, si infila le scarpe da ginnastica bianche, pronto a scendere in campo. Carlos è uno dei veterani della East Harlem National League di stickball, un baseball di strada che per tutto il Novecento è stato il passatempo più popolare e caratteristico di New York, giocato fin dagli anni Trenta e Quaranta nei bassifondi cittadini da poveri e immigrati, a cui bastavano un manico di scopa e una spaldeen, una pallina di gomma rosa che deve il nome a una storpiatura in accento di Brooklyn di quello della ditta che la produce, la Spalding. A stickball si gioca in dieci e le regole sono semplici: chi è in battuta lancia la pallina, afferra la mazza e al secondo rimbalzo colpisce. Ognuno ha il suo stile.

C'è chi mira il più lontano possibile, chi in alto, verso i palazzi all'angolo con la 3rd Avenue, chi invece tira basso e potente. Appena colpita la spaldeen scompare in cielo, per poi riapparire schizzando ovunque, fra le macchine parcheggiate, sui muri, sui marciapiedi o sulle scale antincendio. I giocatori in attacco corrono per conquistarsi le basi, generalmente disegnate con il gesso sull'asfalto, la squadra in difesa cerca invece di prendere la palla al volo o di eliminare gli avversari. «Se la palla supera l'incrocio è un fuoricampo, a meno che qualche pazzo non si butti in mezzo al traffico per agguantarla», racconta Carlos poco prima di cominciare a giocare. «Ognuno si costruisce la mazza come preferisce», continua, «quando eravamo piccoli per giocare dovevamo rubare la scopa a nostra madre». Carlos, che è sposato da 42 anni e ha quattro nipoti, è nato a tre isolati da qui e ancora abita nel quartiere. Quando ha iniziato a praticare lo stickball era uno dei più giovani, ora invece è uno dei più anziani fra i giocatori, quasi tutti con i capelli bianchi, che tutte le domeniche si affrontano sulla strada.

Gli iscritti alla East Harlem National League sono fra i pochi rimasti a mantenere in vita questo gioco di strada che ha riempito per tutto il ventesimo secolo le afose estati newyorchesi e ha contribuito a raccontare la città facendo da comparsa in molti film, da Bronx di Robert De Niro a Via dall'incubo e Jack e Jill, interpretati rispettivamente da Jennifer Lopez e Al Pacino. Ormai però in città si giocano solo due campionati: quello di Harlem, da sei squadre, e quello del Bronx, la New York Emperors Stickball League, che ha dieci squadre e si disputa in un piazzale della 161st Street. Carlos gioca con i Clean Machine, una squadra di ex tossicodipendenti che grazie allo stickball si sono tenuti lontani dalle ricadute. I giocatori hanno divise improvvisate: pantaloncini corti, canotte colorate, jeans, magliette bianche, occhiali da sole di plastica e cappellini da baseball.

Oggi affrontano gli El Barrio Old Timers, una delle squadre più forti del campionato. All'altro incrocio della strada, altre due squadre sono pronte a iniziare la propria partita. Il campo è delimitato da una scuola, da un piccolo parco e da qualche palazzo basso. Una manciata di spettatori, seduti su sedie da spiaggia, aspetta con calma l'inizio delle partite. La maggior parte dei giocatori è di origine ispanica, ma a loro si aggiungono qualche afroamericano e qualche bianco, soprattutto di origine irlandese o est europea. Una volta, negli anni Cinquanta, giocavano anche gli italiani. «Erano i ragazzi di Pleasant Avenue», dice Carlos indicando verso l'East River. «Avevano una grande squadra. Gli italiani qui erano tantissimi: loro a est, gli ispanici al centro e gli afroamericani verso ovest. Si giocava tutti insieme. Mi ricordo Vito, Marmellata… poi però hanno cominciato a emigrare verso il Bronx». A quei tempi lo stickball era una cosa seria, sulle partite si scommettevano centinaia di dollari. «All'epoca non c'erano campionati, scendevamo in strada e giocavamo», ricorda George Ganci, 69 anni, madre irlandese e padre italiano.

«Qui si gioca dagli anni Quaranta, ma alla fine degli anni Cinquanta molti si arruolarono, alcuni si sposarono e il gioco rischiò di scomparire», aggiunge Carlos. Poi, nel 1981, è cominciato il campionato. Prima fu sponsorizzato dalla Miller Lite, poi venne la Budweiser che regalava mille casse di birra, ma interruppe la partnership dopo che la città di New York vietò il consumo di bevande alcoliche sulle strade. Mentre parliamo la partita comincia. Mellow, che ha 76 anni e la carnagione color tabacco, colpisce una macchina in battuta, raggiunge la prima base ed esita mentre decide se avventurarsi verso la seconda. Poi passa un'automobile, interrompendo la partita, nonostante negli ultimi anni la città abbia accordato il permesso di chiudere la strada la domenica mattina. I giocatori la guardano infastiditi. «Una volta non le chiudevamo neanche le strade», ricorda Al Jackson, ex poliziotto in pensione di 77 anni. «Quando passavano le macchine ci scansavamo e via». Al era soprannominato Sky King, perché quando batteva spediva la palla così in alto che quando tornava giù lui era già in terza base. «In questo gioco non ci sono campioni», afferma, «tutti hanno la loro buona giornata».

Al ormai non gioca più, ma porta sempre con sé un prezioso album di memorabilia. «Questo era John Aromi, aveva una mano sola ma riusciva lo stesso a prendere la palla», dice indicando la foto di un uomo con dei folti baffi neri. «Questo invece sono io durante una tournée a Portorico», prosegue mostrando la prima pagina di El Mundo del 10 ottobre 1983. Negli ultimi trent'anni gli ex ragazzi di East Harlem sono diventati ambasciatori dello stickball e hanno portato il gioco a Cuba, Panama e Portorico, oltre che in Florida e California. «Ora a Portorico ci sono ottime squadre», spiega Al, mentre intorno a noi divampa una discussione. Le due squadre cominciano a litigare per un punto, sembrano quasi volersi picchiare. Poi si risolve tutto con una risata collettiva.

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