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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2012 alle ore 17:48.

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Doveva essere il venerdì della consacrazione per Reality: dopo il premio a Cannes a maggio, alcuni si aspettavano, il 26, la candidatura come rappresentante italiano all'Oscar. Così non è stato – a correre per la statuetta saranno i fratelli Taviani – ma questo non dovrebbe fermare la corsa di Matteo Garrone, che pure arriva dal clamoroso successo di Gomorra, eredità piuttosto pesante. Ma con l'intelligenza che lo contraddistingue il cineasta non ha cercato di superarsi, né di correre sullo stesso sentiero, proprio per evitare un confronto che rischiava d'essere impossibile.

Riparte da Napoli, è vero, per una storia che gioca con il nostro immaginario catodico, anzi a dirla tutta molto digitale e molto terrestre. Anzi, terra terra. La casa del Grande Fratello, perversione orwelliana degli ultimi anni, chiude fuori da sé il mondo intero, per fare in modo che quest'ultimo voglia entrarvi e sposarne la morale malata, lo stile di vita improbabile come i colori e le parole che l'affollano. Garrone a tratti non riesce, come in Gomorra, a rimanere fuori dal (pre)giudizio, indugia forse troppo su corpi e dialoghi, ma riesce allo stesso tempo a trovare la vena surreale e umanissima de L'imbalsamatore, sottolineando l'aspetto pirandelliano di quell'universo che non c'è ma che tutti vogliono. Ne nasce un film dall'etica e dall'estetica post-moderna – al limite del modernariato, visto che il reality garroniano è già storia, in favore di forme di invadenza televisiva più aggressive e grottesche – che forse sarà pure ricordato, alla fine della carriera del regista, come una pellicola minore, ma che ha in sé qualcosa di profondamente interessante e coinvolgente. E se a questo si aggiunge il talento tutto istinto e grinta di Aniello Arena – potremmo definirlo un attore iperneosurrealista – siamo sicuri di trovarci di fronte a un oggetto cinematografico di ottimo livello. Che, forse, ha trovato qualche scetticismo proprio in chi si aspettava un sequel mascherato di Gomorra.

La sorpresa della settimana però è Elles, un film sensuale e arguto che ci pone all'interno della femminilità con sguardo inusuale. Merito, soprattutto, di Juliette Binoche, che si mette in gioco con un film che nessuna attrice, soprattutto della sua età, avrebbe avuto il coraggio di fare. Elles, infatti, racconta di una giornalista di "Elle" che vuole scrivere della prostituzione delle giovani studentesse, fenomeno che al suo periodico interessa per l'aspetto pruriginoso e che lei trova interessante per i suo risvolti sociali. Ma Malgoska Szumowska, la regista, è qui che ci stupisce. Invece del soft-porno mascherato da melodramma sociale che tanti altri, a proposito del tema, ci hanno propinato, ci offre piuttosto lo sguardo di questa bella donna di mezz'età e altoborghese che dall'incontro con due belle studentesse che vivono la vendita del loro corpo con serenità e soddisfazione trae la visione della propria fragilità. Il seme del dubbio si inserirà in lei, rovesciando il punto di vista suo e del film e permettendoci un viaggio inaspettato e originale. La menzogna delle ragazze, che potrebbero esserle figlie (e questa visione maternalistica è fondamentale nell'opera), non si discosta, forse, da quella che deve vivere lei. E così con le sue eleganti spalle la Binoche abbatte la porta del moralismo per guardarsi (e forse guardarci) dentro.

Trascurando i già pubblicizzatissimi L'era glaciale 4 e Resident Evil Retribution – da cui si ottiene esattamente quello che ci si aspetta (compresa una Milla Jovovich da infarto, in tutti i sensi) chiudiamo segnalando l'opera prima di Ruggero Dipaola (in cui troviamo anche un ottima Laura Morante). Film d'epoca, Appartamento ad Atene è un raffinato gioco delle parti in tempo di guerra, l'analisi interessante della quotidianità e la normalità di ciò che siamo abituati a tener lontano definendolo come male assoluto. La pellicola ha le sue imperfezioni, i suoi passaggi a vuoto ma nel complesso è un esperimento molto interessante.

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