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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2012 alle ore 08:17.

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In diciotto giorni sono passate 19 creazioni, di cui 15 prime mondiali, con 147 recite per 34 compagnie ospiti e 745 artisti: basterebbero questi numeri ad assicurare alla «Biennale de la danse» di Lione quel primato europeo, forse mondiale, che vanta dal 1986. Anche in questa quindicesima e fragile edizione, giunta oggi al capolinea, l'apporto di denari statali, regionali e privati, è stato cospicuo (8.282.000 euro); soddisfacente l'indotto, inflessibile l'affollamento in ogni teatro urbano e periferico, mentre imperturbate sono state le visite di giornalisti e critici provenienti da ogni remoto angolo del globo, e in aumento i programmatori, gentilmente sospinti a fare incetta di coreografi e gruppi soprattutto francesi.
Sin dalla sua nascita l'obiettivo della «Biennale de la danse» lionese è stato storicizzare tendenze e non crearle: ovvero, «spiegare» a un mercato ancora ampiamente dominato dal balletto, prima la novità del teatrodanza di Pina Bausch e dei compatrioti della German Dance, poi via via del Post Modern americano, delle danze africane e asiatiche, con il sopraggiunto impeto comunitario delle Street Dances, dell'hip hop, delle contaminazioni globali; senza mai scordare quel contorno francese, tutt'altro che secondario alla fine del secolo scorso, da vendere all'estero più di qualunque altro prodotto coreografico. Scelta lungimirante. Tuttavia, una volta esauritesi le tendenze controcorrente e la veemenza della stessa nouvelle danse che Guy Darmet, l'ideatore, fondatore e direttore della Biennale lionese sino alla penultima edizione, ha saputo tanto bene incanalare, il paesaggio, in specie made in France, dischiusosi agli occhi della sua erede, - la coreografa Dominique Hervieu -, deve essere apparso affatto diverso, artisticamente smagrito.
Ciò nonostante la neo-direttrice ha sposato le bellurie global-trash di Cecilia Bengolea e François Chaignaud , prima rotanti in costumi coloratissimi, tra luci al neon e musica da discoteca, poi disposte con le loro compagne, ad alzare le vesti per far singhiozzare i glutei nell'inutile Altered Nativis Say Yes to Another Excess - Twerk. La Hervieu ha avallato le stanche declinazioni dell'hip hop ormai allo stremo, anche se tirato a lucido dall'elegante apporto di danzatori di Taiwan, come in Yo Gee Ti di Mourad Merzouki, il campione dei Kafig. Provando a dare un tema alla sua prima Biennale, anzi due, la direttrice ha puntato sull'esotico-orientale e sull'incontro tra danza e parola. Non ritorneremo sulle danze balinesi comparse prima in Italia e poi a Lione, ma neppure sugli Sankai Juku. Meglio ricordare l'inventiva semplicità di Folks dell'israeliano Juval Pick, una serie di inusuali e cangianti carole che tornando al primo Novecento (in abiti odierni e con un filo di ironia), liberano energie non stereotipate.
Quanto alla danza «verbale»: nella sua trappola è caduto persino l'inossidabile Angelin Preljocaj. Il suo Ce que j'appelle oubli, ispirato all'efferato omicidio di un barbone colto in flagrante a rubare una lattina di birra in un supermercato, e picchiato a morte proprio dalla polizia di Lione nel 2009 - non ha sortito l'effetto sperato. Sopra le righe, la recitazione di un attore «urlatore», anche se intensa la danza tutta maschile, che sarebbe stata eloquente pure senza la sovrabbondanza del testo retorico (di Laurent Mauvignier). Ma per fortuna, oltre a Preljocaj, alla «Biennale de la danse» numero 15 si sono affacciati altri solidi big, come Jirví Kylián con One of a Kind, pièce del 1997, offerta al composto e luminoso Ballet de Lyon e Maguy Marin, cui sarà l'imminente Festival d'Automne a dedicare, a breve, una meritata retrospettiva.
In Nocturnes, scabra e riarsa serie di tableaux vivants per sei interpreti, la grande coreografa ricostruisce lacerti di storia, ricordi, attimi di vita rubati al suo flusso dinamico riutilizzando lo stesso, serrato, dialogo tra buio e luce, rumori percettibili e voci lontane di Salves, recente capolavoro terremotato e assai mosso. Ma questo è un Notturno, ulteriore prosciugamento senza scampo di un passato privo di futuro, che lascia le sue rovine - sassi catapultati a ripetizione in uno spazio ferrigno - ai sogni di una danzatrice che scopriamo dormiente, con la bocca torta e spalancata, solo alla fine della toccante pièce.
Nocturnes sarà a «TorinoDanza», il nostro magnifico festival in corso, nel 2013: ospitalità o coproduzione ? Questa volta si parla di vero gemellaggio, al via nel 2014 con una coproduzione finalmente italiana, affidata alla coreografa Ambra Senatore e altri progetti. Il tempo è sufficiente per la messa a punto del primo, virtuoso incontro tra grandi festival europei, tra due città vicine e affratellate dall'amore per la danza. Con o senza No Tav questa «Torino-Lione» andata e ritorno, è stata avviata. Di sicuro arriverà prima della ferrovia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
15e Biennale de la danse, Lione, sino
a oggi. La compagnia Angelin Preljocaj
a TorinoDanza, 23-24 ottobre;
Altered Nativis Say Yes to Another Excess - Twerk, Bengolea-Chaignaud, al Festival d'Automne dal 24 al 28 ottobre e qui anche «Maguy Marin, A Journey»
dal 13 ottobre al 15 dicembre.

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