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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2012 alle ore 08:17.

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Negli anni Trenta del secolo scorso, Los Angeles era la quinta città più popolosa degli Stati Uniti e quella che occupava l'area più vasta al mondo. Tutta questa gente dispersa per uno spazio così enorme era servita da un'efficiente rete tramviaria. Raggiungendo velocità di oltre novanta chilometri l'ora, i Red Cars (come venivano chiamati) congiungevano quattro contee e cinquanta diverse comunità; insieme con gli Yellow Cars, localizzati in centro, costituivano, con più di 2.500 chilometri di binari, il più complesso e ramificato sistema di trasporti pubblici esistente. Il film Chi ha incastrato Roger Rabbit racconta, in modo un po' fantastico ma non troppo, come andò a finire. Depurati della caricaturale enfasi cinematografica, i fatti sono questi. La General Motors, la Firestone, la Standard Oil e la Mack Truck acquistarono un'oscura compagnia di autobus del Midwest e la ribattezzarono National City Lines; nel 1944, National City Lines acquistò gli Yellow Cars e li sostituì con degli autobus; nel frattempo, i tram incontravano difficoltà crescenti a manovrare nel traffico automobilistico e la qualità del loro servizio peggiorava. Si sarebbero potuti creare speciali percorsi per facilitarli, ma si decise invece di crearli per le macchine: strade apposta per loro, sopraelevate se era il caso, costruite senza alcun rispetto per il tessuto urbano o per l'integrità del territorio; le freeways. L'ultima corsa tramviaria della zona fu nel 1961; oggi Los Angeles è la più congestionata e inquinata città d'America.
L'episodio è narrato in Straphanger, di Taras Grescoe, un libro dedicato a dimostrare che 1) l'automobile ha gravemente danneggiato la nostra salute e le nostre strutture sociali ed economiche ma 2) la sua egemonia volge al termine: il minacciato esaurimento delle risorse petrolifere e i vari cataclismi finanziari stanno convincendoci a sostituirla con mezzi di trasporto meno malefici. Per documentare la sua tesi Grescoe, che si dichiara un devoto straphanger – il termine si riferisce a quanti si appendono (hang) alle cinghie (straps) sospese in un autobus o in una metropolitana per non cadere, e ha di solito un senso canzonatorio, come di chi non può permettersi una macchina –, ha viaggiato da Parigi a Shanghai, da Mosca a Vancouver, studiando dal vivo i modi in cui la gente viaggia e di conseguenza vive.
L'epicentro del problema sono gli Stati Uniti. Per una combinazione di motivi economici, militari (durante la Guerra Fredda, si riteneva che evitando le eccessive aggregazioni urbane si potesse resistere meglio a un attacco nucleare), politici (in particolare, il massiccio sostegno dato dai governi all'industria e alla viabilità automobilistica) e organizzativi (l'assenza di un'adeguata pianificazione), Los Angeles è diventata un modello nazionale, replicando ovunque uno sviluppo a bassa densità che costringe le persone a percorrere anche cento chilometri al giorno per raggiungere il posto di lavoro e che sembra irrealizzabile coprire con servizi pubblici. A questo modello perverso si oppongono quelli virtuosi. Il sistema TransMilenio di Bogotá: autobus che circolano su corsie separate saltando il traffico e attraversano la città nell'ora di punta in meno di mezz'ora. Le piste ciclabili di Copenhagen, quasi 400 chilometri che portano la gente non dove conviene fare una pista ciclabile ma dove la gente vuole andare (in centro, per esempio), facendo della bicicletta il principale mezzo di trasporto di quasi metà degli abitanti (in un clima, ricordiamo, scandinavo). La metropolitana di Tokyo, dove i passeggeri (43 milioni al giorno) non timbrano biglietti ma passano davanti a dei lettori che identificano le loro tessere magnetiche, i treni sono i più frequenti, quieti e veloci del pianeta, le linee arrivano dappertutto e le coincidenze funzionano a perfezione.
Qual è il segreto di questi esempi? Secondo Grescoe, per competere con la capillarità dell'automobile (che può andare da ogni punto a ogni punto) è necessario un coordinamento generale e pubblico dei progetti: generale perché si tratta di servire un intero territorio, pubblico perché i privati abbandoneranno inevitabilmente le linee poco utilizzate concentrandosi su dove guadagnano di più. Quel che è necessario, fortunatamente, sembra possibile, purché ce ne sia la volontà politica: anche negli Stati Uniti, dopo decenni di fuga verso le aree suburbane, città da New York a Portland, da San Francisco a Filadelfia stanno accantonando la c\ostruzione di nuove autostrade e riscoprendo la vita vibrante e attiva dei loro centri, delle loro strade e piazze. Dappertutto nel mondo si sta cercando di evitare il destino di Los Angeles: di sviluppare modi meno nevrotici e distruttivi per muoversi e di ripensare la struttura urbana in termini di accessibilità al trasporto pubblico. Il che è bene, pensa Grescoe, perché vivendo più vicini a tram e metropolitane vivremo anche più vicini fra noi, e perché quegli stessi mezzi aiutano a evitare l'isolamento e a superare l'incomprensione: invece di vedere il prossimo attraverso i finestrini della nostra automobile (e della sua) possiamo sederci accanto, e magari scoprire che non fa tanta paura quanto sembrava.
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Taras Grescoe, Straphanger: Saving
Our Cities and Ourselves from the Automobile, Times Books, New York, pagg. 336, $ 25,00

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