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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2012 alle ore 15:47.

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Intorno a quella che un giorno sarebbe stata la sua tomba, Trimalcione voleva un orto, un frutteto ma soprattutto un vigneto. Facile comprendere dove il liberto arricchito del «Satyricon» di Petronio volesse andare a parare: nell'economia primaria del I secolo dopo Cristo, il nettare di Bacco era moneta sonante. Non c'è da stupirsi allora che intorno alla ricca Pompei si distendessero un tempo ettari coltivati a vite a perdita d'occhio. E che proprio a una manciata di chilometri dalla città sepolta dall'eruzione vesuviana del 79 d.C. sia stato in questi giorni ritrovato quello che presumibilmente è uno tra vigneti meglio conservati di età romana.

A portarlo alla luce una campagna di scavo condotta dall'Istituto archeologico germanico di Berlino e finanziata dal Deutsche Forschungsgemeinschaft, ossia l'equivalente tedesco del nostro Cnr.
Lavori diretti da Florian Seiler, archeologo da lungo tempo attivo nell'area vesuviana che ha coordinato uno staff internazionale e interdisciplinare, all'interno del quale figurano Pia Kastenmeier, Domenico Esposito e Catello Imperatore. Luogo del rinvenimento, il comune di Scafati, confinante con Pompei ma rientrante nella giurisdizione della provincia di Salerno e, quindi, di competenza della locale Soprintendenza archeologica guidata da Adele Campanelli.

Gli scavi hanno insistito su un terreno demaniale sito in via della Resistenza, in posizione strategica: a 350 metri in direzione sudest sorge la villa romana di Numerius Popidius Narcissus Maior, a 50 metri in direzione est la cosiddetta villa della «cartucciera». Tutto lascerebbe pensare che quel terreno coltivato a vite di 12 metri per quattro appartenesse a una di queste due «fattorie» dell'antichità.

L'economia che fu
I lavori di scavo che hanno portato alla scoperta rientrano nel progetto che l'Istituto archeologico germanico ha avviato nel 2007 per la ricostruzione del paleo-paesaggio della piana del Sarno, ossia l'ampia area geografica tagliata dall'omonimo fiume sulla quale nell'antichità sorsero i centri di Pompei e Nuceria. E ricostruire il paleo-paesaggio significa anche ricostruire l'economia sulla quale si reggevano queste due città. Un'economia fondata sull'agricoltura. «Gli studi condotti in questi anni – spiega Florian Seiler – hanno accertato come la piana del Sarno fosse vocata all'attività agricola sin almeno dall'età del bronzo, per l'età del ferro e andando oltre l'eruzione del '79 d.C.

Le eruzioni vesuviane ci hanno preservato queste serie storiche con un livello di conservazione sconosciuto nel resto del mediterraneo». In età romana, intorno ai centri di Pompei e Nuceria, sorgevano almeno 150 villae rusticae dove si allevavano animali, si coltivava la vite e l'ulivo, si producevano vini e oli che poi venivano esportati nel resto dell'impero. I vigneti erano insomma integrante parte del paesaggio.

Vino pompeiano
Il colpo d'occhio che offre l'antico vigneto trovato a Scafati è di grande suggestione: vi si riconoscono i solchi prodotti dalla zappa di chissà quale schiavo, i fori in cui erano inseriti i pali che servivano a sorreggere i filari e le tracce lasciate dalle radici delle piante. «Si può dire – continua Seiler – che, insieme con quelli rinvenuti sempre nell'area vesuviana tra gli anni Cinquanta e Settanta, quello trovato ora sia il vitigno meglio conservato dell'antichità». Rispetto alle scoperte degli anni Cinquanta e Settanta, tuttavia, c'è un vantaggio: gli strumenti di ricerca si sono raffinati.

«Quindi – prosegue l'archeologo tedesco – abbiamo chance ancora maggiori di comprendere come funzionasse l'agricoltura nel primo secolo dopo Cristo». A questo punto entreranno in gioco paleobotanici come Mark Robinson dell'Università di Oxford, palinologi come Hermann Behling e Linda Steinhübel dell'Università di Göttingen, geografi e geoecologi come Michael Märker e Sebastian Vogel nonché micromorfologi come Ivano Rellini.

A loro il compito di analizzare le evidenze portate alla luce dallo scavo di Scafati sino a trarne rispettive le conclusioni. Per la primavera dell'anno prossimo è prevista la presentazione dei risultati della ricerca e a seguire la pubblicazione. Il tutto in Germania, terra di grandi archeologi del passato. Che ancora una volta dimostra una sensibilità verso il nostro "povero" patrimonio che dalle nostre parti non è affatto scontata.

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