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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2012 alle ore 08:17.

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«Conoscere è il passo decisivo per l'assunzione di una responsabilità etica verso gli animali da parte dei consumatori: ferma restando la centralità degli interessi alimentari umani, o anche meramente economici, un consumatore consapevole è in qualche modo moralmente corresponsabile della sostenibilità etica del processo di produzione, unitamente agli attori diretti della filiera». L'ultimo Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) – Alimentazione umana e benessere animale – affronta una delle più antiche modalità di utilizzo degli animali: la loro trasformazione in prodotti destinati all'alimentazione umana, tema che merita una rinnovata riflessione per la progressiva diffusione di forme di produzione industriale che penalizzano sensibilmente il benessere degli animali.
In sostanza, quando beviamo latte, mangiamo uova o carne, possiamo ancora considerarci innocenti rispetto a ciò che è accaduto prima? In questa prospettiva, "buono da mangiare" non può più corrispondere solo a ciò che è salutare, piacevole al palato o conveniente, ma anche a ciò che esprime le nostre opzioni di valore, a ciò che è conforme a «requisiti etici di correttezza e trasparenza dell'intera filiera produttiva nonché di attenzione nei confronti dei parametri della qualità della vita animale». Il Cnb afferma dunque la necessità di un «passaggio da una prospettiva puramente economica a una prospettiva anche morale». Gli animali non sono mere risorse da sfruttare, merce da amministrare razionalmente, ma esseri senzienti con propri interessi e bisogni, meritevoli di tutela. Non si tratta di inseguire intuizioni affettive, ma semmai di dar retta al popperiano «tutti gli animali, io pure, si esprimono».
La bioetica animale cui il Cnb fa riferimento tiene conto così da un lato degli orientamenti fondati sull'approccio della cura, e quindi della responsabilità che l'uomo deve avvertire verso esseri senzienti di cui si avvale per realizzare propri fini, dall'altro di quelli basati sull'approccio neoaristotelico delle capacità e che ritengono possibile applicare tale idea anche agli animali, vedendo in questa estensione una nuova frontiera del principio di giustizia. In ogni caso, citando Kant, si potrebbe dire che si conosce il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta gli animali.
La visione del Cnb ha particolare rilievo anche per il fatto e il modo con cui affronta due fattori fondamentali, la scienza e l'economia, che devono essere prese sul serio se si vuole che il negoziato culturale in questo campo conduca a una posizione bioetica largamente condivisa. In questo orizzonte teorico, per prima cosa il Cnb incardina il Parere sul rigore delle evidenze scientifiche, peraltro in aggiornamento costante. Dal primo documento ufficiale sul benessere animale – il Rapporto Brambell, commissionato dal Governo inglese nel 1965 –, la Animal Welfare Science è divenuta un'area di ricerca interdisciplinare accreditata e in continua espansione, materia di insegnamento in tutte le facoltà di scienze veterinarie europee. Per gli allevamenti, l'aspirazione è quella di individuare modalità di gestione degli animali che non si limitino a garantire i soli standard minimi di benessere ma che migliorino nettamente le loro condizioni di vita. L'approccio è quello cosiddetto dei "feelings", ovvero dell'analisi degli stati cerebrali, delle sensazioni degli animali derivabili dalla loro struttura, dalle loro funzioni (capacità) e dal loro comportamento. Sul piano dei metodi di valutazione, le nuove linee di ricerca spostano l'attenzione dai fattori ambientali di rischio alla rilevazione di parametri direttamente stimati sugli animali (approccio animal-based), che consente di determinare il loro vero stato di benessere e non di presumerlo astrattamente sulla base del fatto che sono stati rispettati i limiti ambientali imposti dalle norme. La promozione di questi studi e l'applicazione di nuove conoscenze consolidate è una delle raccomandazioni principali del Cnb.
Sul piano economico, non volendo mettere in discussione il mangiare prodotti di origine animale, ci si interroga se sia possibile intervenire sulla maniera in cui esso si realizza, migliorando le condizioni di benessere degli animali in modo compatibile con gli interessi economici zootecnici e dei consumatori. Occorre cioè conciliare le ragioni del mercato con la tutela di animali ed ecosistemi, tenendo conto delle diseconomie relative ai guasti ambientali e igienico-sanitari e pervenendo a una «valutazione globale che esamini il problema alla luce di un più ampio e lungimirante concetto di vantaggio per la società nel suo complesso». Tutto ciò è possibile considerato che, secondo l'Ue, il benessere animale inciderebbe solo per circa il 2% sui costi di produzione, che questi potrebbero essere riassorbiti implementando la biosicurezza e riducendo la lunghezza delle filiere e che, comunque, l'attribuzione di valore a un certo prodotto è un processo multifattoriale: la rappresentazione mentale delle sue caratteristiche influenza sensibilmente i comportamenti d'acquisto che sono a loro volta funzione anche di convinzioni morali profonde, in questo caso dell'atteggiamento delle persone verso gli animali.
In tempi di crisi economica, il Cnb propone quindi lo sviluppo di un sistema di etichettature certificate animal welfare friendly al fine di sviluppare nuovi mercati paralleli. In un inedito ruolo, la bioetica per l'economia.

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