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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2012 alle ore 08:11.

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Sembrava un problema italiano, ed è un problema mondiale. Non sarebbe la prima volta (il fascismo, la mafia), anche se in questo caso la faccenda, direbbe Flaiano, è grave ma non è seria. In breve, non esistono comici di destra, e quando esistono non fanno ridere: è la vecchia contrapposizione tra i geniacci come Corrado Guzzanti e lo sfottò compiacente del Bagaglino, il cui storico leader, Pippo Franco, cantava non per caso "America, ma che ce vengo a fa'?".

Un libro della politologa Alison Dagnes, A Conservative Walks Into a Bar: The Politics of Political Humor, rivela che gli Stati Uniti hanno lo stesso problema. I conservatori a quanto pare non sanno far ridere, e la satira è legata a filo doppio ai liberal. Come mai? Dagnes la prende molto alla lontana (per natura «il conservatorismo è più conformista e lento nel criticare i potenti») ma la risposta, almeno in Italia, non è ideologica, è psicologica: per prendere (e prendersi) in giro bisogna esser sicuri di sé, se non proprio coltivare il complesso dei migliori e della superiorità antropologica, e una destra che vive di risentimenti, sensi d'inferiorità culturale e lamentele di ostracismo non può aspirare a ottenere una risata che sia una. Che può fare, allora? Allevare una nidiata di comici di destra sarebbe perdente, come opporre il rock cristiano a Mtv.

I conservatori del pianeta farebbero bene a puntare i riflettori su questo piccolo Paese dell'Europa meridionale, dove un ometto alquanto istrionesco, che in quindici anni a conti fatti non ha combinato granché, almeno una vittoria l'ha ottenuta, con grande danno per le nostre serate: neutralizzare la satira avversaria. Come ha potuto tanto? È semplice: diventando egli stesso una caricatura, un'iperbole vivente, la copia iperrealista di sé stesso. Come si fa a "castigare ridendo" quando il castigato ride come un pazzo? Uno dopo l'altro, sono caduti tutti: Sabina Guzzanti si è trasformata in una maestrina petulante e incattivita, Daniele Luttazzi da plagiario di talento è diventato un piccolo comiziante, e così via. Sopravviveva, secondo alcuni, la leggerezza di Benigni, ma non per molto: dopo quel colpo d'ala comico che fu «la nipote di Mubarak», il meglio che seppe inventarsi fu Rosy Bindi «suocera di Zapatero». Tutto qui? Una mera permutazione dei termini, perché non si poteva parodiare una realtà già parodistica. La lezione italiana è chiara: se proprio non riescono a far ridere, l'unica speranza dei conservatori è fare i pazzi.

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