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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2012 alle ore 09:11.

Chi segue con attenzione da molti anni le vicende della musica contemporanea, è rimasto piacevolmente sorpreso dall'annuncio di un concerto straordinario della Verdi all'Auditorium di Milano, tutto dedicato ad Arnold Schoenberg, per celebrare nientemeno che il centesimo anniversario della prima esecuzione del suo Pierrot Lunaire op.21 avvenuta a Berlino il 16 ottobre 1912. Sulla brochure di sala (un quaderno di 38 pagine) c'erano tutte le informazioni indispensabili: la musica si fonda tre volte su sette poesie da Pierrot Lunaire di Albert Giraud; l'organico orchestrale – diretto come sempre con accurata perizia da Ruben Jais – prevede voce recitante, flauto, clarinetto, violino, violoncello, pianoforte; seguivano il testo poco noto della prefazione scritta da Schoenberg per la partitura, un'esauriente presentazione di Anna Maria Morazzoni che l'ha anche riassunta dal palcoscenico e infine le 21 poesie di Giraud tradotte in italiano da Morazzoni.
Si sostiene che Pierrot Lunaire, nobilitato dalla splendida e duttile voce del mezzosoprano Annette Jahns, sia il lavoro di Schoenberg più metabolizzato dal pubblico italiano. Non pare sia proprio così, a giudicare dalle vendite dei dischi e dalla sua non frequente presenza nei programmi delle società di concerti: la fruizione non è facile e la musica si prolunga senza soluzioni di continuità per una quarantina di minuti, ma diamo la notizia per buona. All'Auditorium milanese Pierrot era l'ultima proposta del programma dopo l'esecuzione della divina Verklaerte Nacht (Notte Trasfigurata) op.4 nella versione originale per sei strumenti; di N.IV da Serenata op.24 tratto dal Sonetto n.217 di Francesco Petrarca per Voce Grave Maschile, baritono Christian Miedl; e di Sechs kleine Klavierstucke op.19 (Sei piccoli pezzi per pianoforte) interpretati dalla giovanissima Carlotta Lusa.
Torniamo ora al nostro cultore di musica contemporanea di cui all'inizio, sùbito soddisfatto e felice dopo aver constatato che la platea dell'Auditorium era quasi esaurita. Sono ormai lontani i tempi, ha certamente pensato, in cui il solo nome di Schoenberg era sufficiente per condannare un disco a giacere invenduto negli scaffali dei negozi, e qualche temerario solista o complesso a suonare per le poltrone vuote. Si cominciò qua e là negli anni cinquanta, dopo la morte del compositore austriaco (Vienna 1874 - Los Angeles 1951) a proporre le sue opere giovanili postwagneriane, ancora immuni dalla tendenza alla dissoluzione tonale, per cui si ricorse specialmente, appunto, a Verklaerte Nacht composta nel 1899. In ciò la Verdi ha dei meriti: se si guardano i cartelloni dei suoi vent'anni di attività, la mezzora di musica di Verklaerte Nacht nella più commestibile versione orchestrale, si incontra due volte; e pure due volte figurano i quattro bellissimi minuti del Notturno per archi e arpa (1896).
Verklaerte Nacht è stata interpretata mirabilmente all'Auditorium, con intensa emozione, da Luca Santaniello e Licya Viganò violini; Gabriele Mugnai e Altin Thanasi viole; Mario Shirai Grigolato e Gabriele D'Agostino violoncello. Il poema sinfonico fu suggerito a Schoenberg dal fascino struggente di una poesia di Richard Dehmel del 1896, anch'essa intitolata Verklaerte Nacht, i cui protagonisti sono una donna e un uomo. La musica segue da vicino la vicenda del testo, cupo nella prima parte che contiene la confessione della donna, dolcissimo nella seconda, esaltata dalla risposta favolosa dell'uomo. Anna Maria Morazzoni offre della poesia una traduzione di pregio nella brochure. Ci vorrà perdonare se in questa sede le preferiamo la versione d'incredibile bellezza che sessant'anni or sono l'indimenticabile Diego Valeri regalò al Centro d'Arte degli Studenti dell'Università di Padova, per quella che probabilmente fu la prima esecuzione italiana in forma di sestetto.
Vanno i due per il bosco freddo, nudo,/ sotto la luna che cammina a paro./ La luna corre sopra l'alte querce;/ non una nube turba il cielo chiaro,/ in cui si drizzan soli i rami neri./ La voce della donna dice: «Io porto/ nel grembo un bimbo, e non è il tuo bambino./ Sono in peccato accanto a te: violenza/ mi son fatta, da me stessa, a me./ Più non credevo alla felicità,/ ma avevo ancora un grave desiderio/ di vita, di maternità: dolcezza/ e dovere. E così, da svergognata,/ mi son lasciata prendere da un uomo,/ pur avendone orrore, da un estranio;/ e di questo mi sono anche lodata./ Ora la vita fa le sue vendette,/ ora che t'ho incontrato…». Ella cammina/ con duri passi, leva il capo, guarda/ la luna che lassù con lor cammina./ Il cupo sguardo s'inebria di luce./ Ora la voce dell'uomo risponde:/ «La creatura da te concepita/ non pesi sul tuo cuore; oh guarda come/ luminoso risplende l'universo!/ Qui tutto è nella luce. Tu cammini/ con me nel freddo mare, ma una fiamma/ in me da te, in te da me, si spande, / che il bimbo estranio trasfigurerà./ Tu lo partorirai per me, da me;/ tu scaturire hai fatto dal mio cuore/ la luce: tu mi hai rifatto bambino»./ Egli l'abbraccia intorno ai forti fianchi,/ i lor fiati si baciano nell'aria./ Vanno i due per la chiara assorta notte.
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