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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2012 alle ore 18:17.

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A guardare il cartellone di questa settimana c'è di che strabuzzare gli occhi. Haneke, Stone, Bertolucci. C'è da stare chiusi in una sala tutto il fine settimana. O quasi. Partiamo, infatti, dalla delusione del trio, Oliver Stone. Il suo Le belve è una blanda e patinata imitazione di se stesso in cui il regista di The Doors e Platoon cerca costantemente di annoiarci pur usando argomenti interessanti.

Perché, diciamolo, sesso – specie se parliamo di un triangolo consenziente - e droga – specie se parliamo di una narcoguerra con tanto di decapitazioni - continuano ancora a tirare parecchio sul grande schermo. Ma Stone gira come se fosse un suo allievo poco sveglio, prende l'opera di Don Winslow e la annacqua, prova a far perno sulla bellezza borghese di Blake Lively – ti turba, e molto, per tre minuti, poi non la sopporti e tifi per i sequestratori – e non gli riesce, infine decide per un'insipida coppia di protagonisti, un fricchettone e un ex marine che hanno importato dall'Afghanistan i semi della marijuana perfetta. E il loro talento li aiuta a coltivarli meglio che in loco.

Bella idea, come sono gustosi anche alcuni degli attori scritturati – John Travolta e Salma Hayek, pur usati poco e male – ma il risultato è rovinoso, risulta difficile seguirli e soprattutto appassionarsi a loro. Quando poi c'è anche il rewind, allora si finisce nel grottesco, nella sospensione di credulità e lo spettatore è tentato di passare alle maniere forti. In fondo l'unico che si è potuto permettere di mettere il rewind a una scena e riscrivere il film davanti agli occhi di chi guardava fu Michael Haneke in Funny Games. L'unico, almeno, che chiamiamo ancora maestro. E lo facciamo anche per Amour, in cui questo grande regista a volte troppo cerebrale, si abbandona al cuore.

Ci porta nel menage di una coppia in cui vecchiaia e malattia si infiltrano con la loro quotidiana devastazione. Questi due mostri, però, non incrinano un amore tanto umano quanto eroico, anzi lo amplificano, lo rendono terribile ma splendidamente nobile. Un grande cineasta, ma anche una coppia d'attori (Trintignant-Riva) indimenticabili, disegnano un affresco che difficilmente dimenticheremo. Perché Haneke non rinuncia alla sua lucida freddezza, pur mostrandoci un sentimento enorme lo incastra comunque nell'ipocrisia generale di una vita e di una società infame. E così la violenza di una delle ingiustizie più grandi, la malattia (soprattutto se affiancata all'età avanzata), ci viene mostrata in tutta la sua spudorata perfidia. Si butta sulla gioventù, invece, Bertolucci. Che in Io e Te al di là di trovare, come nell'ultima epoca del suo cinema, una musa particolare e bellissima (dopo Liv Tyler e Eva Green, ecco Tea Falco), spia un adolescente chiuso e una ragazza tossicodipendente, fratellastri, nel chiuso di una cantina in cui lui cerca una fuga come affermazione di sé e lei la salvezza dagli stupefacenti.

Da vedere, comunque. E lo è, pur essendo profondamente diverso, anche Viva l'Italia di Max Bruno. Attenti a giudicarlo con snobismo: parliamo di un'opera che di sicuro colpirà il pubblico, proprio perché il suo linguaggio sa essere fortemente popolare.

L'Italia di raccomandati e corrotti, di sinistri destri e destri sinistri, della crisi di valori, economici e umani, dell'indifferenza e della furbizia finiscono davanti ai nostri occhi in una commedia che la seppellisce sotto una risata di scherno e di indignazione. Ma anche dietro un sorriso amaro perché, alla fine, si parla di noi: se chi ci governa è senza morale è perché anche chi è governato gli assomiglia. L'idea di partenza è semplice ed efficace: Michele Placido è un politico del partito Viva l'Italia, un leader che si riempie la bocca delle parole più giuste e rassicuranti. Senza rispettarle.

Mentre è con un'aspirante attricetta, gli prende un colpo. La conseguenza è quella per cui si rimette fisicamente ma una forma di demenza lo obbliga a dire sempre e tutta la verità. Ai figli – Gassmam lo stupido potente, Ambra Angiolini l'attrice cagna, Bova il ribelle radical chic -, agli elettori, a tutti. Una favola anche dolce negli affetti ma nera nella visione del potere, suggellata dai passaggi dello stesso Bruno, qui tribuno che dice la verità e commenta la Costituzione. Si ride e si riflette e Bruno fa il Moore della situazione: perché il contenuto arrivi forte e chiaro a tutti, perché si apra il vaso di Pandora tricolore in cui si racchiude quello che tutti noi sappiamo ma facciamo finta di ignorare, usa il cinema più elementare che conosce. E lo fa con efficacia e onestà intellettuale e anche quando sta per sbandare – la scena a L'Aquila, gli scontri di piazza genialmente risolti con Italia di Mino Reitano – torna in sella per chiudere quello che rischia d'essere uno dei più grandi successi di quest'anno.

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