Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2012 alle ore 08:26.

My24

In questo scritto degli anni 60, che il curatore Sparzani ci propone per la prima volta in traduzione italiana con il corredo di una introduzione che lo contestualizza, di note, di una bibliografia mirata e di una intervista che Feyerabend rilasciò alla sua ultima moglie Grazia Borrini, emergono bene alcuni temi della svolta anarchica ("dadaista", come lui la definiva) che l'eccentrico e influente filosofo austriaco impresse all'epistemologia, insieme a Kuhn, Hanson e altri protagonisti del dibattito postpositivista sulla scienza. I termini con cui Feyerabend criticava i cultori del "Metodo" scientifico, della teoresi avulsa dalle pratiche umane, di una scienza progressiva modello di ogni conoscenza, sono sempre stati più provocatori e intesi a effetti destrutturanti (proprio come i segni e i gesti di una certa avanguardia artistica) che non termini rigorosi di una teoria alternativa. Per cui non vi infervorate quando leggete che la scienza, come gli scacchi, è «uno dei molti passatempi che gli uomini hanno inventato per divertirsi»; perché questa non è un'asserzione, ma è come uno sberleffo o, per dirla in termini più filosofici, è una pseudoasserzione che mira alla reductio ad absurdum di ogni tesi contraria in quanto, secondo Feyerabend, razionalmente altrettanto infondata. Ma qui vorrei tralasciare i grandi e controversi problemi che, dagli anni di questo scritto, hanno segnato i destini dell'empirismo contemporaneo, per soffermarmi su un aspetto, tutt'altro che marginale e oggi di notevole momento, concernente le affinità che non solo Feyerabend riconosce tra arte e scienza (fino a negare una loro reale "autonomia" e la possibilità stessa di una "demarcazione sensata tra le due"), ma che predica anche tra teatro e filosofia, per una nuova paideia.
Feyerabend più volte ci ha raccontato dell'origine quasi fortuita del suo interesse per la filosofia, essendo primaria in lui la passione per il teatro e per le arti figurative. Non solo qui, ma anche in altri scritti poco noti e assai interessanti (su tutti "Let's Make More Movies" del '75) Feyerabend parla di teatro (e di cinema). In che senso il teatro giova alla filosofia? Nel senso che mostra il Galileo di Brecht; dove si affronta uno dei massimi problemi filosofici, quello del ruolo della ragione nella società e nelle nostre vite private, ma sulla scena non vanno concetti e didascalie, bensì il problema in tutte le sue sfaccettature e anche incongruenze. E al pubblico è richiesto non di concentrarsi passivamente ad «ascoltare la ragione», ma di "distrarsi" a seguire le facce, i gesti, i toni e quella che si potrebbe chiamare una «fisiognomica» dell'argomentazione. Solo in quel modo, dice Feyerabend, si neutralizza l'«autorità», perché la manifestazione "fisica" della ragione irrita i nostri sensi, suscita i nostri sentimenti, fino a condurci a una valutazione davvero serena e obiettiva in quanto mette in mora gli stessi criteri razionali e ci porta a giudicare la ragione stessa, piuttosto che ad usarla per giudicare tutto il resto. Se Aristotele e Lessing, in un certo senso, intendevano imbalsamare i caratteri, le emozioni e le ragioni nella rappresentazione teatrale, per «purificare le passioni» e impartire conoscenza, Brecht (come anche Aristofane, Ionesco, Nestroy, Pirandello, per esempio) esalta e rappresenta la contraddizione "pragmatica" tra il mondo della verità e delle leggi e il mondo vissuto, sofferto, del comportamento pratico e della condizione umana. Nel dominio delle relazioni umane è come nella scienza o nella religione: le «linee di partito» possono essere giudicate soltanto inventando ipotesi contrarie che rivelino come le straordinarie virtù ad esse attribuite possano essere viste come errori marchiani e i loro successi come esiti di premesse dubbie e infondate (lo stesso richiamo all'«esperienza» da parte del l'epistemologia è tale, per Feyerabend). L'idealità del teatro come modello pedagogico sta dunque nella pluralità di punti di vista, nel rispetto per le idee "morte" e perdenti, nel nesso inscindibile tra la verità e il suo senso umano, che esso assicura e che Feyerabend ha sempre considerato necessari nella discussione scientifica come nella crescita culturale e morale di una società.
Se dovessimo indicare un filosofo che maggiormente incontra i gusti di Feyerabend, questi non potrebbe che essere il Platone che nel Fedro obietta alla scrittura, usa il dialogo per mettere insieme materiali apparentemente eterogenei (anche Feyerabend ha scritto in forma di dialogo), cambia modalità di espressione, rifiuta di usare un "gergo" e soprattutto si appella al mito laddove i filosofi moderni si aspetterebbero le conseguenze chiare e necessarie di una catena argomentativa: un Platone, dunque, pluralista e eclettico (anche se poi Feyerabend gli rimprovererà l'incoerenza di aver fatto sì che Socrate lasciasse moglie e figli fuori dalla porta della filosofia!).
Tutto ciò si può contestare e si può non essere "feyerabendiani" (del resto è lo stesso Feyerabend che diffida di ogni «partito»), ma non si può ignorare che talvolta serve quanto raccomandava Nietzsche e che Feyerabend fa suo: di guardare alla scienza con gli occhi dell'arte e all'arte con quelli della vita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Paul K. Feyerabend, Contro l'autonomia. Il cammino delle
scienze e delle arti, Mimesis, Milano, pagg. 114, € 12,00

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi