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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2012 alle ore 08:29.

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«Mentre Parigi s'imbruna, / sotto la pallida luna, / lungi da folla importuna / veglia laggiù Za-la Mort... / Egli è l'apache fatale, / tutti lo credon brutale / mentre il suo cuore leale / non conosce egoismo e viltà...». Così un foxtrot anni Trenta. Il personaggio di Za-la-Mort, criminale-eroe, celeberrimo cent'anni fa, è rimasto proverbiale attraverso i decenni. Nel secondo dopoguerra, Dapporto e Totò lo citavano nei loro spettacoli comici («Za-la-mortadelle»...), una versione a fumetti lo trasformava in indiano d'America (del resto, non era un "apache", ossia un esponente della malavita parigina?), e il regista Raffaello Matarazzo lo riportava sullo schermo in Fumeria d'oppio. Mezzo secolo dopo, in Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco, il capomafia ghigna in dialetto a una sua vittima: «Hai fatto al fine di Za-la-Mort...».
Inventore di questa figura era stato l'attore e regista torinese Emilio Ghione, nel 1914: un momento di trionfo del cinema italiano, con le sue dive e i suoi film in costume. Ma Za-la-Mort appartiene a un filone contemporaneo, derivato dal feuilleton. L'idea era di importare in Italia la moda dei serial cinematografici francesi: i film a puntate che, come i romanzi d'appendice (e come oggi le serie tv), inchiodavano gli spettatori alle poltrone per mesi: tra tutti, il diabolico Fantomas di Feuillade. Nei film, però, Za-la-Mort diventa man mano un raddrizzatore di torti, una specie di Zorro. Dopo l'esordio in Nelly la gigolette, sarà al centro di serie come Anime buie (1916) e I topi grigi (1918), e affonderà col crollo dell'industria cinematografica italiana, alle soglie del fascismo. Ghione gira poi in Germania Der Traum der Zalavie (1924), e trasporta il personaggio in romanzi da lui stesso scritti. Di questi, viene ora ristampato Za la mort (Nerosubianco, Cuneo, pagg. 240, € 12,00), a cura di Denis Lotti, studioso che a Ghione ha dedicato nel 2008 una ricca monografia (L'ultimo apache. Vita e film di un divo italiano, Cineteca di Bologna). Il romanzo, letterariamente modesto, è utile e spassoso come documento d'epoca. Vi si racconta la genealogia del personaggio (nobile privato di un'eredità e divenuto re dei bassifondi), la sua arcadia malavitosa con la compagna Za-la-Vie, e gli inganni perpetrati ai loro danni da una compagine assortita di malvagi: la diva Perla Cristal, il suo devoto giapponese Siky-Ho, e il Livido. Esotismo ed erotismo con tinte sadomaso coloriscono il libro, che ha alle spalle i superuomini ottocenteschi di Dumas o Sue, e certi sfondi di Salgari, ma è scritto in una prosa iper-dannunziana, con donne che declamano: «A te, subdolo, livido, incolore, magnificamente sincera di desiderio, mi concedo! Non intendi la febbre che mi brucia? Sei uomo, o fantoccio?».
Il romanzo uscì a puntate sul quotidiano «Il mondo» di Giovanni Amendola: nel 1925, pochi mesi dopo che vi era stato ospitato il manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce, e mentre Amendola veniva aggredito dagli squadristi (morendo pochi mesi dopo). Nel 1928, Za-la-Mort esce in volume Nerbini, con illustrazioni di Giove Toppi fortunatamente riprodotte in questa nuova edizione. Con il personaggio da lui creato, Ghione vive intanto una inquietante simbiosi: se già nel serial Dollari e fracks (1919) interpretava se stesso e faceva di Za-la-Mort il proprio doppio, in una specie di gioco di meta-cinema, nel romanzo L'ombra di Za-la-Mort (1929, Ghione sarebbe morto nel '30) racconta di averne assunto l'identità per infiltrarsi nei bassifondi, salvare fanciulle, smascherare spie, e infine darsi al cinema folgorato da Intolerance di Griffith. Un'autofiction, si direbbe oggi, sulla paternità della quale Lotti avanza qualche dubbio, ricordandone però il valore simbolico, di fortuna e maledizione per il suo inventore. Il quale, incontrando Petrolini, che esclamava «A me mi ha rovinato la guerra!», pare ribattesse: «A me mi ha rovinato Za-la-Mort!».
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