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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2012 alle ore 12:25.

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Siete anime incorruttibili con un debole per la musica dura e pura e l'idea che Diana Krall abbia messo un po' in mostra il suo corpo in copertina proprio non vi va giù? Rilassatevi: la signora, dall'alto dei suoi 48 anni portati benissimo, s'è tolta lo sfizio. E come si dice? Dove c'è gusto non c'è perdenza.

Senza contare che quella della cover sexy è un'usanza antica, vecchia quasi quanto l'industria musicale. Non ci credete? Allora mettetevi comodi e vi portiamo a fare un tour nel «genere». Tocca andare lontano nel tempo: agli anni Cinquanta, per esempio. Non tutti i 33 giri, all'epoca, avevano la copertina illustrata. Eppure ce n'erano già alcuni con cover piuttosto ammiccanti. Molto probabilmente cominciò tutto dalla mela del peccato: quella che una Eva nascosta dietro un vetro deformante prova a cogliere sulla cover di «Young man and a lady», disco del '56 di Theodor Bikel che, oltre a fare il cantante, era molto noto come attore. Stessa sorte di Julie London, artista di quello stesso periodo che era una sorta di specialista della copertina sexy: guardate come posa da perfetta pin-up per «Calendar girl» o come sgambetta per «Julie». La classe non è acqua. Per «Soft and sweet» il trio pop strumentale The Three Suns s'inventò trasparenze vedo-non vedo.

Vennero gli anni Sessanta e l'art-work si fece più spregiudicato. Ma giusto un tantino. Prendete la copertina di «A taste of honey» di The Village Stompers. Quella sì che andava bene: nudo femminile appena intravisto. Un certo Jimi Hendrix provò a spostare decisamente più un alto l'asticella del lecito e incappò nella censura: la prima copertina di «Electric Ladyland», quella ritraente pletora di ragazze con terga volte all'obiettivo, fu in fretta sostituita con un più canonico ritratto del Mancino di Seattle. Per avere campo libero musicisti (e case discografiche) dovranno aspettare i Seventies, decennio del glam. I Roxy Music fecero per esempio della copertina sexy il proprio marchio di fabbrica. Per «For your pleasure» la giovane modella Amanda Lear porta al guinzaglio una ruggente pantera, ma è con «Country life» che Brian Ferry e soci toccheranno l'apice del genere. Qualsiasi commento è superfluo. Da grande ammiccatore, Serge Gainsbourg inneggerà invece all'amore proibito con «Histoire del Melody Nelson».

Ricordate gli orecchiabili Cars, punto di riferimento musicale dei primi anni Ottanta? Nel '79 mettono una ragazza in body trasparente sulla sagoma di un'auto per «Candy-O», loro secondo album. Lascia poco spazio alla fantasia Jorge Santana, fratello del più noto Carlos, per il suo disco omonimo del '78. Il serissimo Roger Waters, già leader dei Pink Floyd, indugia su un nudo femminile per l'album solista «The pros and cons of hitchhiking». Gli anni Novanta sono contrassegnati dall'estetica vintage di «Supersexy swingin' sound» dei White Zombie e dal triagolo patriottico di «Amorica» dei Black Crows, e si arriva ai duemila dell'anca sbilenca («Is this it») degli Strokes. Qualche volta mettersi a nudo porta fortuna, soprattutto in ambito pop: guardate a Katy Perry, per esempio, e a ciò che è diventata grazie a «Teenage dream». Stesse usanze e stessa scuola di una certa Louise Veronica Ciccone che sin dai tempi di «Like a Virgin» ce ne ha fatte vedere delle belle.

Qui in Italia per anni ci siamo dovuti accontentare della sterminata discografia con donnine del pop sassofonista Fausto Papetti. Ma poi per fortuna ci siamo rifatti con «Paris Milonga» di Paolo Conte.

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