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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2012 alle ore 08:18.

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Lo spettacolo doveva essere mozzafiato e non a caso legioni di pittori, a cominciare da Canaletto, sentirono l'esigenza di immortalarlo. Stiamo parlando della «Festa della Sensa» (cioè dell'Ascensione) che si celebrava ogni anno a Venezia nel mese di maggio. I protagonisti della festa erano sostanzialmente due: il doge e una speciale barca da parata chiamata «Bucintoro». Badate, non una barca qualsiasi, ma la più fastosa, spettacolare e teatrale delle imbarcazioni mai concepite in Occidente, un'autentica scultura galleggiante di dimensioni considerevoli, intagliata e dorata dal valentissimo Antonio Corradini, con una funzione molto precisa: quella di portare il doge a «sposare il mare». Infatti, dall'alto della prua, il doge gettava in acqua un prezioso anello e pronunciava solenni parole, rinnovando il legame tra la Serenissima e l'Adriatico. Poi, il Bucintoro rientrava nel bacino di San Marco, scortato da un'intera flottiglia di gondole da parata egualmente scolpite e dorate. Lo sbarco avveniva davanti a Palazzo Ducale, come documenta un dipinto strepitoso realizzato da Canaletto nel 1729 e oggi conservato in un'importante collezione privata milanese.
Sorge un quesito: che fine ha fatto il Bucintoro di Venezia? Una brutta fine. Venne distrutto dalle truppe di Napoleone nel 1797 per cancellare un odioso simbolo del l'antico regime ma anche per recuperare i numerosi chili d'oro usati per dorare le sculture dell'imbarcazione.
È singolare apprendere che di questo tipo di barca sia sopravvissuto oggi un unico esemplare al mondo. Per ammirarlo non dobbiamo recarci a Venezia, bensì a Torino e più precisamente nelle Scuderie juvarriane della Reggia di Venaria Reale.
Che cosa ci faccia lì, ai piedi delle Alpi, una spettacolare barca da parata veneziana vale la pena di farselo raccontare, anche perché la storia e gli spostamenti dell'unico Bucintoro giunto sino a oggi sono così singolari e rocamboleschi da mettere in ombra le imprese del mitico Fitzcarraldo, che faceva transitare le navi sulle colline.
Questo Bucintoro venne ordinato da re Vittorio Amedeo II di Savoia nel 1729, per poter disporre, come altri monarchi d'Europa, di una sontuosa imbarcazione da parata per la navigazione fluviale. Funzione della barca era quella di essere una sorta di "palcoscenico sull'acqua" per la famiglia reale, da utilizzare nei momenti più rappresentativi del cerimoniale di corte. Gli unici che potevano costruire una barca del genere erano i veneziani, e infatti il Bucintoro sabaudo venne costruito nei cantieri della Serenissima. Ne sortì un piccolo capolavoro: lungo 16 metri, largo 2,60 e alto 12 al vertice dell'albero, il natante venne arricchito da notevoli gruppi scultorei dorati (Narciso, le personificazioni dei fiumi Po e Adige, cavalli marini, draghi eccetera) a opera di Matteo Calderoni, mentre il soffitto della cabina (detta «tiemo»), destinata ad ospitare il re, venne abbellito di un dipinto di scuola veneziana dedicato al ruolo dei Savoia nello scongiurare lo scisma del 1449.
La barca costò a Vittorio Amedeo una vera fortuna: 34mila lire torinesi, pari a circa 3 milioni di euro attuali. Destinata alla navigazione fluviale, la barca venne costruita con uno scafo piatto e per questo dettaglio tecnico il nome esatto della barca è quello di «peota».
La «Peota dei Savoia» compì il viaggio inaugurale da Venezia a Torino navigando per 32 giorni lungo il Po, trainata controcorrente da vari contingenti di animali. Venne consegnata il 4 settembre 1731 esattamente davanti al Castello del Valentino. I monarchi sabaudi la usarono poco, navigando sul Po e dando "spettacolo" soprattutto in occasione di tre matrimoni reali. Nel 1869 Vittorio Emanuele II la regalò al Comune di Torino. La barca venne così tirata in secco e ricoverata nell'androne di Palazzo Madama. Ma si trattava di un oggetto troppo spettacolare per restare così tristemente relegato. E, infatti, un decennio fa si stabilì che la peota reale sarebbe tornata a dar spettacolo di sé in una sede davvero adeguata: la fastosa Reggia di Venaria Reale. È stato prima necessario restaurarla in ogni sua parte, facendole compiere un viaggio d'andata e ritorno davvero degno di Fitzcarraldo tra le colline dell'Astigiano, dove si trova il rinomato Laboratorio di restauro Nicola. L'ultima fase dei restauri è avvenuta invece nei Laboratori della Venaria, grazie la sostegno della Consulta per Torino. Anche la collocazione dentro la Scuderia dello Juvarra non è stato un gioco da ragazzi: ci sono volute grandi gru e mille cautele per infilare un mastodonte di sedici metri (tutto intagliato e dorato) dentro il luogo dove ora andremo ad ammirarlo.
La visita alla «Barca Sublime» non sarà una semplice visita, sarà un'esperienza teatrale intensa e coinvolgente. La "messa in scena" è stata infatti affidata al regista Davide Livermore che – come un autentico "maestro delle feste" – ci porterà alla scoperta della barca per gradi e attraverso molti effetti speciali, lungo quasi cento metri di percorso e in oltre quaranta minuti di tempo.
La multimedialità aiuta a comprendere che è l'acqua l'elemento di base e di raccordo, l'acqua che scorre sulle volte delle Scuderie e che si travasa dalle vedute veneziane di Canaletto in quelle torinesi di Bellotto, segnando simbolicamente il percorso compiuto dalla peota. A un certo punto ci appaiono i personaggi che ebbero a che fare con la barca (dal re che la ordinò, allo scultore che la modellò, alla donna che cucì le sue vele) e ognuno di loro ci racconta la sua versione dei fatti, mentre sullo sfondo risuona leggera la musica di Vivaldi. Ma ecco all'improvviso comparire la «Barca sublime», incorniciata dal proscenio di un colossale teatro e posta al centro del palcoscenico come un'autentica diva. Sul palco siamo invitati a salire anche noi per ammirare la peota incredibilmente da vicino, come solo ai Savoia era concesso di fare. Il momento è magico, l'emozione garantita.

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