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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2012 alle ore 08:15.

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Si domandava Agostino: «Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più». Proprio per riuscire a spiegarlo a chi lo chiede, i filosofi di matrice analitica (ma prima di loro molti altri, basti pensare a Husserl, Heidegger e Sartre) si sono di recente impegnati in un appassionante dibattito. Che cos'è il tempo? Dipende dalla nostra mente? Lo possiamo dividere in passato/presente/futuro? Condiziona il valore di verità delle proposizioni che contengono enunciati temporali?
Nel suo bel libro sulla filosofia del tempo – in cui confluiscono temi di metafisica, filosofia del linguaggio, filosofia della mente e filosofia della scienza – Francesco Orilia espone in maniera chiara e accessibile il dibattito degli ultimi anni presentando i due principali schieramenti al centro dell'arena filosofica. Da un lato ci sono i sostenitori della teoria A (nelle su tre varianti: presentismo, per il quale esiste solo ciò che è presente, passatismo, per il quale esiste solo ciò che è presente o passato, ed eternalismo, secondo il quale tutti gli eventi, passati, presenti o futuri in qualche modo esistono) che riprendono il punto di vista del senso comune secondo il quale il tempo è qualcosa di oggettivo e indipendente da noi.
Dall'altro lato ci sono i difensori della teoria B (che implica l'eternalismo), per i quali non c'è un momento presente privilegiato e occorre invece prestare attenzione (senza preoccuparsi troppo delle intuizioni del senso comune) a quanto ci dicono le teorie scientifiche, in particolare la teoria della relatività. Se per i paladini della teoria A la realtà contiene come suoi ingredienti proprietà quali essere presente o essere passato, per i partigiani della teoria B non c'è alcun fatto temporale fondamentale, perché tutti si riducono a mere relazioni di precedenza e successione tra eventi. Come spesso accade nelle dispute più accese, non è semplice scegliere tra l'uno o l'altro schieramento, soprattutto perché in questo caso è evidente come i meriti (essere vicino al senso comune) e i difetti del primo (essere lontano dalla scienza) siano i meriti e i difetti del secondo cambiati di segno. Tra i due disputanti, Orilia mostra una netta preferenza per una forma specifica della teoria A (lo si poteva dire, d'altra parte non è un libro giallo!), il presentismo, esponendone i vantaggi, chiarendo le difficoltà che devono essere superate per riuscire a fornirne una elaborazione convincente tale da aggirare le accuse classiche (di essere o ovviamente falsa o banalmente vera), e spiegando infine in quale misura risolve problemi filosofici importanti come quelli avanzati dai nomi propri, i fattori di verità, le relazioni intertemporali e l'esperienza immediata. Il presentismo difeso da Orilia consente inoltre di non rinunciare alla tesi del futuro aperto e di evitare così quelle forme di fatalismo tipiche dell'eternalismo tanto di tipo A quanto di tipo B. Non cosa da poco di questi tempi in cui il futuro è tutto ciò che abbiamo, pur nella certezza del fatto che, per parafrasare Paul Valéry, ormai anche il futuro non è più quello di una volta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Francesco Orilia, Filosofia del tempo.
Il dibattito contemporaneo, Carocci, Roma, pagg. 150, € 16,00

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