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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2012 alle ore 12:09.

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Nella foto l'attrice Isabella Ferrari, il regista Paolo Franchi e la produttrice Nicoletta Mantovani sul Red Carpet del Festival del Cinema di Roma per la prima del film "E la chiamano estate" (LaPresse)Nella foto l'attrice Isabella Ferrari, il regista Paolo Franchi e la produttrice Nicoletta Mantovani sul Red Carpet del Festival del Cinema di Roma per la prima del film "E la chiamano estate" (LaPresse)

Ieri è stato presentato alla stampa E la chiamano estate di Paolo Franchi, già molto contestato a Venezia per il suo precedente Nessuna qualità agli eroi. Il cineasta è uno che non accetta mezzi termini, quando si parla d'arte e cinematografia: fa scelte forti, etiche ed estetiche, non concede nulla al pubblico più popolare e vuole sempre intraprendere strade difficili per la sua produzione. Di fatto, così, viene spesso equivocato, anche per la passione e la forza con cui difende il proprio lavoro, scambiata per presunzione da chi è abituato all'ipocrisia diffusa del mondo dello spettacolo.
A un giorno dalla proiezione, però, è utile capire però di che film parliamo. Perché tra Isabella Ferrari desnuda – in verità citazione raffinata de L'origine del mondo di Gustave Courbet – e alcuni dialoghi che carezzano il grottesco, si è voluto perder di vista, per provincialismo, il vero significato del film. Che pone, come già Shame di Steve McQueen, quell'interrogativo moderno e complesso che è al centro di una società emotivamente fragile e fortemente materialista: cos'è il sesso? In una società cattolica che l'ha sempre ingabbiato in un credere, riprodursi, fare la morale, l'occidente moderno ha sempre fatto fatica a fare una riflessione reale, laica, sul tema.

Paolo Franchi, pur con tutti i limiti di un cinema alto che non disdegna (troppi) virtuosismi e intellettualismi, affronta il tema con una poetica anche feroce: la bulimia sessuale di Jean-Marc Barr, protagonista che cannibalizza se stesso in ogni tipo di pratica erotica con sconosciuti, diventa anoressia con la donna che ama; la volontaria anche se dolente astinenza di Isabella Ferrari, obbligata a un affetto platonico dal compagno, la fa passare per vittima anche se, analizzandola e conoscendola, nel proseguire della pellicola, ne riconosciamo le stimmate della carnefice, quasi subdola manipolatrice della debolezza perversa di chi le sta accanto, della sua disperazione.
Qualcosa che, a prescindere dal giudizio cinematografico – quello che dovrebbe sancire la difficoltà di Franchi, come già nell'opera scorsa, a dare una compiutezza alle sue altissime ambizioni – andrebbe valutato oltre le risate rozze tipiche dei festival italiani o dei fischi imbarazzati. Film così audaci, sotto il profilo erotico, vengono spesso programmati dalle rassegne internazionali, senza che essi suscitino quest'isteria collettiva nei media.

Franchi, di sicuro, deve riflettere sulla sua arte, che è pur sempre anche popolare e che deve trovare un percorso forse più immediato, senza perdere in complessità, e deve di sicuro imparare a metabolizzare meglio le critiche. Detto questo E la chiamano estate rimane un esperimento interessante, sia pur parzialmente fallito. Anche e soprattutto per la scelta di un'attrice come Isabella Ferrari che, nonostante la buona volontà, non riesce a incarnare quel sogno-incubo erotico che dovrebbe essere, quella contraddizione dolorosissima che rappresenta nella vita di un uomo in balia di se stesso.

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