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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2012 alle ore 21:50.

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E verso la fine di un festival che finora non ha convinto neanche un po', arrivano le zampate che lo fanno un po' risalire. La prima è Motel Life, dramma feroce e sensibile di un cinema Usa che più indipendente non si può. Ottimi Stephen Dorff e Emile Hirsch, discreta Dakota Fanning (che però ormai sembra imprigionata dal fatto d'essere stata un'icona bambina), nel racconto di due fratelli rimasti orfani adolescenti e ostinati e caparbi nel voler sopravvivere in un ostico Nevada. Alan e Gabe Polski sanno raccontare una storia molto dura con la delicatezza di chi sa utilizzare diversi linguaggi - fumetti compresi - e toccare diverse corde registiche, interpretative, emotive.

Un film solido, tratto da un bel libro, che trova nei due interpreti maschili colonne salde che permettono di tener su la pellicola.
Opera completamente diversa, ma gustosissima, è l'imprevedibile Gang of Jotas, noir surreale e a tratti demenziale di Marjane Satrapi. Stanca, forse, di portare su di sé il peso di un intero paese, di una cultura ferita, di un popolo vessato, decide per una volta di raccontare una storia fatta tutta di improvvisazione in cui la sua patria esce fuori solo ed esclusivamente quando prende bonariamente in giro i colleghi Panahi, Kiarostami e Makhmalbaf.

E se all'inizio si ha l'impressione che l'esperimento non riesca, per qualche passaggio a vuoto, poi la storia dei tre sicari più casuali e improbabili della storia moderna del cinema (dopo Louise Michel, ovvio) esplode con il primo (e unico) colpo di pistola di Gang of Jotas. Parte a tutta velocità un on the road a tratti adorabile in cui la Satrapi si mette in gioco alla grande, persino come attrice protagonista e in cui semina morti e risate. Non ci vengono risparmiati dialoghi un po' folli, il politicamente ed etnicamente scorretto, una naturale comicità che in Persepolis era evidente sebbene tutti abbiano preferito ignorarla.

Qui Marjane Satrapi si dimostra scrittrice raffinata, regista capace e divertente, mattatrice inaspettata, anche grazie alla sintonia perfetta con gli altri due compagni di scorribande, Mattias Ripa e Stephane Roche, entusiasmanti nel ruolo della coppia gay appassionata di badminton.
E questo noir dimenziale tutto iberico, soprattutto, ci restituisce un'autrice completa che sembrava essersi già persa in una poetica obbligata con la sua opera seconda e riparte con un film piccolo ma delizioso. E ora l'aspetta un film americano, per poi tornare al cinema superindipendente.

Ci sarà da divertirsi.

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