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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2012 alle ore 09:30.

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Nessuno meglio di Henrik Ibsen, ha saputo raccontare drammaturgicamente, la devastante umanità e gli spettri intimi della borghesia, lo dimostra il suo penultimo testo, datato 1896: "John Gabriel Borkman " un cognome che pesa come un macigno. Piero Maccarinelli, cuce intorno al dramma uno spettacolo di cupa e rara eleganza, sfrondando il testo, senza tradirlo e riducendolo in un unico atto della durata di un'ora e quaranta, rispetto ai quattro tempi originali ibseniani.

Incontriamo i Borkman avvolti da un'atmosfera fosca e martoriata come le loro anime nella loro casa-galera, la scenografia spoglia li relega in un ambiente illuminato solo da lampadari sospesi, poche sedie e un pianoforte a scomparsa, sono i simboli del polverizzante naufragio esistenziale. Il capofamiglia del titolo, John, corpo e voce di Massimo Popolizio, era un brillante banchiere capitalista e speculatore, per inseguire il sogno di plasmare un regno di ricchezza e prosperità finisce travolto dal crac finanziario e in gattabuia per otto anni.

Gli altri otto, li trascorre rinchiuso al secondo piano dell'appartamento, ossessionato da tetri rituali, come quello di passeggiare su e giù per la stanza ininterrottamente. Lo va a trovare solo l'unico amico che gli rimane, il poetico e buon Foldal del bravo Mauro Avogadro. Quei passi rimbombano come detonazioni nel cuore anestetizzato della moglie Gunhild, Lucrezia Lante della Rovere, una donna frustrata e rancorosa, mortificata dallo scandalo, la solitudine e dalla competizione con la sorella gemella Ella, un'intensa Manuela Mandracchia, unico vero grande amore di Borkman, che per interesse le ha negato la felicità e la maternità.

Quella felicità cui invece si aggrappa il timido e balbettante Ehart, un efficace Alex Cendron, unico figlio della coppia, conteso dalle due sorelle, convinto giustamente che per nessun motivo vale la pena sacrificare amore e gratificazione, scappa dalle grinfie familiari per seguire la sua Fanny Wilton, Ilaria Geniatempo, musicista e più grande di lui. Che importa se non durerà, almeno smetterà di sentire nelle vene il gelo esistenziale e letale dei Borkman. Eccoli, senza Ehart, alla resa dei conti rimasti ancora più soli e vinti i nostri protagonisti: John morirà tra le braccia di Ella, fuori dalla sua tana finalmente all'aria aperta, stroncato dal freddo artico della vita che credeva di tenere a bada con pugno di ferro e che invece gli si è disgregata tra le dita.

Alle due sorelle non rimane che prendersi, dopo tanti anni, per mano sul capo dell'unico uomo della loro vita, in un mondo dove finalmente è tornata la luce del sole. Un elogio particolare va all'interpretazione magnifica di Massimo Popolizio, un attore che ha ormai raggiunto una maturità artistica da fuoriclasse. Il suo John, lupo affamato e Napoleone azzoppato, è ineccepibile, follemente borioso e convinto di non aver sbagliato nulla, borghese piccolo piccolo con le sue manie e tic, perdente ma non prono, commovente nella sua ultima passeggiata nella neve, espiando alla fine con la morte le sue colpe mai riconosciute. Da non perdere.

"John Gabriel Borkman" di Henrik Ibsen.
Traduzione di Claudio Magris.
Regia di Piero Maccarinelli.
Scene da un'idea di Carlo De Marino.
Costumi Gianluca Sbicca. Musiche di Antonio Di Pofi.
Luci di Umile Vainieri
Interpreti: Massimo Popolizio, Lucrezia Lante della Rovere, Manuela Mandracchia, Mauro Avogadro, Alex Cendron, Ilaria Geniatempo, Camilla Diana.
Produzione Artisti Riuniti in collaborazione con Teatro Eliseo
In scena fino al 18 ottobre al Piccolo Teatro Grassi- Milano

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