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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2012 alle ore 08:16.
Nel Vangelo di Matteo, Gesù, appena compiuta la chiamata dei primi discepoli, trovandosi di fronte una folla di persone, pronuncia il discorso delle beatitudini. L'evangelista ne elenca otto: beati i poveri, gli afflitti, i miti, chi ha fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati. Questa pagina è ricordata come il «discorso della montagna» perché Cristo sale sul monte, si siede e predica. È stata anche definita il «Codice del cristianesimo» o «la sintesi di tutto il Vangelo». Se nell'Antico Testamento le tavole della legge (i dieci comandamenti) sono date da Dio a Mosè per la rettitudine del popolo di Israele, nel Nuovo Testamento le beatitudini definiscono la condizione di chi è chiamato a condividere nel profondo la salvezza eterna portata dal figlio di Dio. C'è il vissuto dell'uomo di fede, c'è la prova, l'azione, la testimonianza guidate dal comandamento nuovo indicato da Gesù: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso».
Per il loro rilievo nella predicazione di Gesù (anche l'evangelista Luca ne parla, indicandone quattro) e per la loro centralità nel l'esistenza del credente, le beatitudini sono fonte di spiritualità e di scelte di vita differenti: sono l'anima dei mistici per l'imitazione integrale di Cristo fin nelle sofferenze del corpo, ma sono anche l'ispirazione di missione concreta tra i poveri, i sofferenti, i perseguitati. Nella letteratura hanno lasciato forti tracce come nel romanzo di Tolstoj, Resurrezione, dove il protagonista leggendo il discorso della montagna decide di cambiare vita e di lavorare per un mondo migliore.
Perché le beatitudini non cessano di attrarre e, soprattutto, in momenti di caduta sia di valori che di ideologie rispuntano con tutta la loro potenza? Perché descrivono la condizione umana e indicano la speranza, offrendo a chi le abbraccia un ideale di vita in cui la condivisione senza interessi reconditi e puramente gratuita diventa uno stile, un orizzonte morale (giustizia, mitezza, povertà di spirito, consolazione). La decisione del l'editore Lindau di dedicare una collana («I Pellicani») alle beatitudini, risponde sicuramente a una domanda profonda del momento presente. E la realizzazione di ogni volume con la formula delle «due voci» spiazza il lettore e si rivela una scelta azzeccata: offre punti di vista diversi e mostra quanto quelle parole muovano intelligenza, sensibilità e cuore di chi interviene. La collana è curata da Roberto Righetto, autore di una accurata postfazione sulla teologia della storia presente nel primo volume Beati i poveri in spirito con testi di Gianfranco Ravasi e Adriano Sofri. Finora sono usciti altri tre titoli: Beati i misericordiosi (Pierangelo Sequeri e Duccio Demetrio), Beati i perseguitati (Franco Cardini e Luisa Muraro), Beati quelli che sono nel pianto (Lucetta Scaraffia e Eraldo Affinati).
In ogni saggio il lettore trova provocazioni, indicazioni, chiavi interpretative particolari. Sofri parla di radicalità del Vangelo, Demetrio di «compagnia della misericordia», Muraro di «regno dei cieli come disponibilità a ricevere essere dall'Essere, amore dal l'Amore, luce dalla Luce», Scaraffia spiega «il senso delle lacrime» e la nascita nel Seicento della devozione al «cuore di Gesù», divenuta in seguito risposta interiore alla secolarizzazione. Introduttivo a tutti i testi è l'intervento di Ravasi che, oltre allo specifico tema della povertà, legge e colloca le beatitudini nel contesto di tutta la Bibbia, offrendo una storia e una esegesi preziose e illuminanti.
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Gianfranco Ravasi, Adriano Sofri, Beati i poveri in spirito, Lindau, Torino, pagg. 118, € 12,00