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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2012 alle ore 17:57.

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I palestinesi e il lodo Moro, quel patto che dalla prima metà degli anni '70 consentiva il passaggio e il deposito di armi ed esplosivi sul territorio nazionale siglato grazie alla mediazione del responsabile italiano dei servizi segreti in Medioriente (Stefano Giovannone) tra Aldo Moro e, appunto i palestinesi. Questa la teoria spiegata nell'ultimo libro sulla strage di Bologna (Bomba o non bomba, 286 pagine per le Edizioni Minerva) a firma del parlamentare di Futuro e Libertà, Enzo Raisi.

Un libro che si basa su 20 anni di ricerca e studio di Raisi, membro tra l'altro della commissione Mitrokhin, i cui documenti (oltre mille pagine) circa la strage del 2 agosto 1980 sono stati riversati in un cd allegato al libro. Raisi, militante di destra ai tempi della strage poi attribuita ai Nar, non ha mai creduto alla versione ufficiale dei fatti e, oggi, spiega la sua teoria in un libro destinato, comunque, a far discutere. Del resto sono in molti a chiedersi cosa c'entrassero i palestinesi con la rossa e tranquilla Bologna degli anni 80.

«La domanda è giusta – spiega il parlamentare – ma per capire il rapporto che legava i palestinesi all'Italia bisogna tornare indietro, al Lodo Moro e a Giovannone. Secondo quell'accordo, di cui chiaramente non c'è traccia scritta, ma che è ampiamente riconosciuto, l'Italia, per interrompere la scia di attentati di matrice palestinese che nei primi anni '70 aveva insanguinato il Paese, acconsentì al passaggio e al deposito di esplosivi sul suo territorio. Tutto andò bene fino a quando a Ortona, nel '79, non venne trovata un'auto con tre missili. Dalle indagini che seguirono questo ritrovamento si risalì a un'organizzazione terroristica palestinese e al suo leader, Abu Anzeh Saleh che venne quindi arrestato. Lo scoppio della bomba fu la ritorsione, annunciata per altro, dei terroristi».

Fin qui tutto chiaro: ma continua ad esserci quella domanda di fondo: Bologna cosa c'entrava con la Palestina? In quegli anni nel capoluogo emiliano era un fiorire di movimenti filopalestinesi: Bologna era rossa che di più non si poteva. «È vero – conferma Raisi – e non solo: Saleh viveva qui. Il fatto è, ma qui entriamo nel campo delle ipotesi, che la bomba non doveva scoppiare qui, ma a Roma. C'è stato un errore evidente. Anche Carlos (terrorista venezuelano implicato in vari attentati in Europa) ha sempre parlato di Roma e di treni, mai di Bologna». Accettato anche questo rimane da capire chi ha portato quella valigia nella sala d'aspetto alle 10 e 10 del 2 agosto 1980. «Certo si sa – continua il parlamentare – che nei giorni immediatamente precedenti la strage all'hotel Jolly (davanti alla stazione, ndr) c'erano due della banda di Carlos: Thomas Kram e Christa Frohlich. Quest'ultima fu riconosciuta e identificata due anni dopo a un uomo che lavorava al Jolly che raccontò di come Christa avesse fatto arrivare un fattorino dalla stazione per far portare in deposito una valigia a cui sembrava tenere particolarmente».

Sì, ma chi l'ha messa lì in sala d'aspetto? «È chiaro che qualcuno deve averla portata ma se la bomba è esplosa per errore, come ritengo, chi era lì vicino è stato dilaniato: se si pensa che di una donna è stato trovato solo un brandello di guancia si capisce che la persona che aveva la valigia potrebbe essere letteralmente andata in frantumi». La verità di Enzo Raisi è questa: Mambro e Fioravanti (e Ciavardini, accusato di avere fisicamente portato la valigia in stazione) sono innocenti: «Ma in Italia all'epoca c'erano troppi interessi contrastanti per far luce sulla verità».

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