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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2012 alle ore 11:59.

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Chi per un periodo più o meno lungo ha vissuto all'estero, o in quella ridotta dell'estero che è l'Unione europea, ne avrà un'infinità, legati alle emozioni più disparate; ma basta aver fatto un viaggio importante con amici e famiglia, o essere andati a prendere una persona amata a lungo lontana, per capire a cosa mi riferisco. Chiunque abbia accompagnato al terminal delle partenze qualcuno che non avrebbe rivisto per mesi ricorda, degli aeroporti, qualcosa di ben diverso dall'«ordalia della solitudine» descritta da Augé. Ciò non significa che il concetto di non-luogo sia privo di fondamento: nella mia esperienza, quanto Augé scrive delle autostrade o dei supermercati è particolarmente acuto e condivisibile. È l'esempio dell'aeroporto che non funziona. Si potrebbe dire, certo, che delle relazioni significative o delle esperienze umane profonde possono darsi in qualunque luogo frequentato da più di una persona per volta (l'unico non-luogo sarebbe quindi il gabinetto?). Il punto è che, in aggiunta a ciò che potrebbe accadere ovunque, certe cose accadono negli aeroporti proprio perché sono aeroporti.

Gli addii alle partenze, le attese agli arrivi, il tempo perso in gruppo nelle lungaggini dell'imbarco, sono dei riti: ci uniscono, ci dividono, assommano in sé legami umani preesistenti o ne creano di nuovi. Sono, anche, dei riti del XX secolo, legati a una tecnologia molto recente e alle architetture che essa ha reso necessarie. E in queste architetture quei riti trovano posto, come i matrimoni nelle chiese barocche di Noto, che a una cultura lontana potrebbero apparire standardizzate quanto gli aeroporti ad Augé. Sono riti che si ripetono, entrando nella nostra memoria individuale e definendoci, collettivamente, in quanto comunità che li condivide: non il jet-set dei viaggiatori ricchi e solitari ma l'Easyjet-set di tutti quelli che si sono commossi di fronte alla porta scorrevole degli arrivi, e che continueranno a ripensare a quell'emozione ogni volta che vedranno un nastro dei bagagli, un controllo documenti, una corsia dei taxi costellata di parcheggi vietati, magari con il cartello, come al Jfk di New York, che dice kiss and fly. Certo che sono dei luoghi.

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