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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2012 alle ore 09:09.

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Una scena del film "Il sospetto" di Thomas VinterbergUna scena del film "Il sospetto" di Thomas Vinterberg

E la chiamano estate arriva subito in sala. L'opera terza di Paolo Franchi – dopo lo splendido esordio con La spettatrice e il discontinuo Nessuna qualità agli eroi – ha diviso critica e pubblico. Fischiato e deriso dai critici a Roma, applaudito a Bologna dal pubblico due giorni fa, premiato da una qualificatissima giuria al festival capitolino diretto per la prima volta da Marco Müller.

Difficile giudicare serenamente, insomma, quest'opera complessa e ambiziosa che da molti è stata definita lo Shame italiano (ma l'autore giura di non averlo mai visto), in cui la bulimia sessuale di un uomo – l'ottimo Jean-Marc Barr – diventa anoressia con la compagna, che ama e, per questo, non tocca (o quasi). Franchi sfida a scena aperta convenzioni visive e narrative, apre la luce della fotografia fino a rendere quasi etereo ogni ambiente, spinge i dialoghi al limite del surrealismo – ma forse neanche tanto – usa Isabella Ferrari come corpo e oggetto regalandole, poi, però, un monologo che ne rovescia l'identità e il ruolo nella storia.

D'amore e non. Un film fatto per essere visto più volte, e che di sicuro ha limiti consistenti, ma che rappresenta comunque una sfida autoriale interessante rovinata, forse, purtroppo, proprio dalla sua protagonista, che non sembra in grado di tenere un personaggio appena tratteggiato e allo stesso tempo complesso. E che, francamente, non ha meritato il riconoscimento romano. Franchi è di sicuro condizionato da una profonda conoscenza della psicanalisi, una fonte d'ispirazione ma in vari momenti anche un blocco, e sembra dare il meglio con i suoi interpreti. Barr è notevole, Eva Riccobono stupisce per presenza scenica, Luca Argentero fa rimpiangere il fatto che la sua sia solo una presenza fugace.

Presenza fugace, per lo meno ai botteghini, non sarà di sicuro Il peggior Natale della mia vita. Sequel del successo inaspettato La peggior settimana della mia vita, riporta dietro la macchina da presa Alessandro Genovesi e, davanti, un Fabio De Luigi qui anche autore del soggetto e cosceneggiatore. Probabilmente Colorado e Warner bisseranno il successo, ma il film delude. Rispetto al primo capitolo, più fresco e divertente, qui siamo in presenza di una pallida imitazione di un minestrone di titoli di successo: De Luigi si muove come un incrocio tra l'ispettore Clouseau e Ben Stiller in Tutti pazzi per Mary, si trova in una situazione da Ti presento i miei e le scene madri (o meglio matrigne) son scopiazzate dai cinepanettoni (vedi la pentola con dentro il tacchino scambiato per un water o alcuni doppi sensi). Si ride poco, anche per un Abatantuono sempre più corpo estraneo alle pellicole che interpreta, per Capotondi e Chiatti che sono sì bellissime, ma poco adatte a una commedia, e per una regia che soprattutto nella prima metà è sotto il livello di guardia. Forse basterà, perché comunque Fabio De Luigi è sopra la media, anche se mal utilizzato.

Dracula 3D, invece, spiazza. Perché se conferma che Dario Argento non tornerà ai fasti in cui era un genio assoluto e un innovatore straordinario, ci mostra anche qualche tiepido miglioramento rispetto a una seconda parte di carriera in avvitamento. Il re del terrore, infatti, conferma di non riuscire a essere all'altezza del periodo in cui ha riscritto la grammatica cinematografica, in cui è stato un faro per tutti i registi, condizionando l'evoluzione delle visioni dei cineasti e dell'immaginario degli spettatori. Sembra essersi rifugiato in un trash d'autore che risulta spesso insopportabilmente vintage ma che, allo stesso tempo, ripercorre i tempi mitici della Hammer. Smonta Bram Stoker, si diverte con le sue attrici (in particolare Marta Gastini e la figlia Asia), usa il 3D con profitto ma senza entusiasmare. Il film crolla sotto il peso di dialoghi che vanno ben oltre il trash e non sono giustificati dallo stile e da un Dracula inadeguato. Ma si fa vedere, si scorge a volte l'Argento che amiamo, ha una sua dignità che con opere come La terza madre, il grande Dario aveva perso.

Il gioiello della settimana, però, è Il sospetto, del sottovalutato, da sempre, Thomas Vinterberg. Anche grazie a un eccezionale Mads Mikkelsen – uno dei migliori interpreti europei – entriamo nell'inferno della pedofilia dalla porta sbagliata. Dalla bestialità di chi di fronte all'orrore non ragiona, di chi vuole la gogna e mai la giustizia. Vinterberg racconta una storia potente in cui anche lo spettatore è parte attiva, dovendosi mettere in discussione ogni minuto, essendo costretto a scavare nella parte più profonda di sé. La crudeltà sociale che si trasforma in sospetto, e viceversa, fanno, a un certo punto, più paura del possibile e ignobile reato al centro del film. E sta tutta là la grandezza di Vinterberg, che torna ai fasti di Festen. Il suo è grande cinema, fatto di carne, cuore e cervello. Tanto che un'opera così non te la togli dalla mente facilmente.

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