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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2012 alle ore 13:31.

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Ossessioni e possessioni: queste le tematiche al centro di Rapporto Confidenziale, la sezione più inquietante del Torino Film Festival 2012, grande protagonista della prima giornata della kermesse. Come film d'apertura della rassegna è stato scelto Chained, ultima fatica di Jennifer Lynch, figlia d'arte del grande David, con protagonista Vincent D'Onofrio. L'attore interpreta Bob, un taxista che cela una seconda identità: l'uomo è in realtà un feroce serial-killer di donne incontrate durante il suo girovagare notturno.

Un giorno come tanti, rapisce una madre e il figlio di circa dieci anni: quest'ultimo non verrà ucciso, ma crescerà incatenato e addestrato per proseguire la strada del suo violento maestro. Dopo tre film del tutto inconsistenti, da «Boxing Helena» (1993) a «Hisss» (2010), Jennifer Lynch sembra aver raggiunto una certa maturità registica, ispirandosi per alcune scelte stilistiche alle opere del padre (in particolare per quanto riguarda le luci e gli effetti sonori), ma senza volerne banalmente ricopiare tematiche e soluzioni narrative. Efficace nel raccontare il perverso rapporto tra i due protagonisti maschili, «Chained» perde però originalità con il passare dei minuti, fino a concludersi in maniera mal calibrata e poco suggestiva. Da segnalare, tra le note più positive, il ritorno di Vincent D'Onofrio ai livelli recitativi che avevamo ammirato e osannato in «Full Metal Jacket» (1987), «Ed Wood» (1995) e «The Cell» (2000).

Titolo per certi versi ancor più inquietante è «Compliance», opera seconda dello statunitense Craig Zobel, anch'essa presentata all'interno di Rapporto Confidenziale. Ambientato in un fast food di una cittadina della provincia americana, il film si svolge in una sola giornata: la direttrice del locale, Sandra, riceve dalla polizia una telefonata riguardante Becky, una sua dipendente, accusata di aver rubato dei soldi a un cliente. Sopraffatta dalle sue responsabilità, Sandra esegue gli ordini dell'agente, trattenendo la ragazza per alcune ore in un crescendo di abusi.

Ispirato a una vicenda realmente accaduta e ampiamente discussa negli Stati Uniti, «Compliance» è un film che, paradossalmente, ha proprio in alcuni passaggi poco credibili i suoi unici limiti. Se le conversazioni appaiono a volte troppo caricate, soprattutto nella parte centrale, Craig Zobel riesce comunque a rendere la sua opera decisamente angosciante, grazie a una regia rigorosa e distaccata, in grado di ricreare la distanza di un dialogo telefonico.

Tra le pieghe della storia, un feroce sottofondo politico e sociale nel tratteggiare un paese, il cui centro culturale non a caso è rappresentato da un fast food, in cui ci si limita a obbedire a dei comandi, per quanto assurdi, soltanto perché li impartisce un' "autorità". In qualche modo, al di là del mostrare i lati più oscuri dell'animo umano, è una vera e propria riflessione sulle conseguenze che possono derivare dai rapporti tra cittadini e forze dell'ordine, in particolare, ma non solo, negli Stati Uniti del post-11 settembre.

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