Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2012 alle ore 18:22.

My24

Chapeau. A Umberto Orsini. Per il coraggio di rimettersi sempre in gioco. Per quella curiosità d'artista, e di uomo, di sperimentarsi con nuove forme. Per l'affidarsi a mani giovani. Come quelle di Pietro Babina, regista di Teatro Clandestino, innovativo gruppo della scena contemporanea da oltre vent'anni. E sembra perfettamente nelle corde dell'ultrasettantenne attore assumere posture e movimenti, ritmi ed espressioni che spiazzano, che esulano da schemi e linguaggi canonici; a suo agio nel plasmarsi alla grammatica di Babina, che ha fatto della ricerca formale il principio estetico della compagnia bolognese.

Cifra che ritroviamo in questo personalissimo allestimento de "La leggenda del Grande Inquisitore". Non una rivisitazione del celebre monologo tratto da "I fratelli Karamazov", ma una riscrittura scenica intorno a Dostoevskij. Nel capitolo autonomo del romanzo, ricordiamolo, l'ateo Ivan racconta al fratello Aleksej di come un giorno Cristo, durante l'epoca dell'Inquisizione a Siviglia, torna sulla terra subito identificato dalla folla, ma fatto imprigionare dall'anziano Inquisitore che, pur riconosciutolo, gli rimprovera d'essere un eretico per aver messo gli uomini di fronte alla libertà di scelta e al dubbio, fardelli troppo pesanti per esseri deboli, fragili, mediocri; e del pericolo che il suo ritorno rappresenta: scompigliare l'ordine della Chiesa, faticosamente costruito nei secoli, che si è assunta la gravosa "missione" di regolamentare e dirigere la vita degli uomini.

Le parole del testo, qui asciugato - che richiamano i persuasori occulti e i manipolatori delle coscienze, i sottomessi, gli omologati e gli eterodiretti di oggi -, le udiamo solo negli ultimi quindici minuti dello spettacolo; quando cioè Orsini le pronuncia in una TED Conference, ovvero una delle lezioni pubbliche via web tenute da personaggi illustri nel mondo che in 18 minuti pronunciano discorsi per veicolare idee ritenute degne di essere diffuse. Il Nostro finirà zittito dalla mano di un ecclesiastico che le chiuderà la bocca mentre pronuncia l'oratoria finale. Il resto della messinscena è una sorta di beckettiano "Nastro di Krapp", riavvolgimento della memoria, e di un "Atto senza parole". Inizia, infatti, nell'assenza di queste.

Venti minuti muti in cui Orsini s'aggira inquieto dentro una stanza asettica segnata da una porta, da uno specchio, da un tavolo metallico e da un neon intermittente con la scritta Fede. Costante il bip di un rivelatore cardiaco, da ospedaliero stato terminale (e un corpo immobile in un letto con un rosso prelato al capezzale comparirà a un certo punto). In questa stratificata messinscena s'odono rumori da fuori, musichette da una radio alla parete, lamenti, echi di passi che si materializzeranno in un uomo fantasmatico (un magnetico Leonardo Capuano), che appare e scompare minaccioso e seducente: demone e alter-ego col quale l'anziano Ivan è costretto a fare i conti della sua vita, a confrontarsi (anche sotto minaccia di una pistola), a interrogarsi sul bene e il male, sui dubbi e le colpe. E sulla libertà, evidenziata nella scritta su un velario che lo avvolgerà. Con un faustiano recupero della giovinezza Orsini-Ivan rivedrà la sua immagine, nello stesso ruolo dello storico "Karamazov" televisivo del 1969, flash della memoria e, in ultimo, un'auto-interrogazione sul punto limite tra vita morte e resurrezione, che non sono quelle di un uomo ma di un personaggio e del suo racconto. Che apre a più livelli narrativi e di significati, carichi di tensione.

"La leggenda del Grande Inquisitore", da "I fratelli Karamazov", di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, con Umberto Orsini e Leonardo Capuano, regia di Pietro Babina. Al Piccolo Eliseo di Roma, fino al 9 dicembre.
www.teatroeliseo.it

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi