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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2012 alle ore 19:23.

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E' una delle chicche viennesi per gli appassionati di architettura. Se come meta turistica e culturale il fascino della capitale austriaca resta infatti ancora saldamente legato alla sua dimensione barocca e a quella imperial-asburgica, il ventesimo secolo ha prodotto pietre miliari ancora perlopiù ignorate dal grande pubblico.

Fin dal diktat di Adolf Loos contro gli orpelli in architettura, Vienna affiancò alle sinuosità Jugendstil il rigore di linee sobrie e di una funzionalità sommessa ma massimamente efficiente. Gli "Höfe", i possenti condomini di edilizia più che popolare degli anni 20 e 30, belli, intelligenti e quasi autarchici coi loro parchi protetti al centro del fabbricato, le cucine componibili già installate, le lavanderie, gli asili, i negozi e magari pure l'ambulatorio del medico di base, punteggiano ancora oggi la città e il più famoso di essi, il Karl-Marx-Hof, è entrato a buon diritto nelle visite guidate.

Ma in quello stesso periodo segnato dalla grande depressione del 29, oltre alla costruzione di 61.000 appartamenti in 11 anni, la municipalità socialdemocratica di Vienna volle pensare anche alla borghesia e diede il via ad un progetto di 70 unità famigliari immerse nel verde di uno dei quartieri più chic della capitale, il 13° distretto, chiamando a raccolta 32 architetti da tutto il mondo, fra cui Josef Hoffmann e Adolf Loos, Margarete Schütte-Lihotzky e André Lurçat, Gerrit Rietveld e Richard Neutra, capitanati da Josef Frank.

L'incarico loro affidato: la realizzazione di un insediamento all'avanguardia, con casette dalla forte individualità ma dai costi contenuti al di sotto degli odierni 130.000 €, da acquistare chiavi in mano, visto che doveva essere fornito anche l'arredamento.

Le unità abitative di dimensioni variabili da 2 a 5 stanze, dovevano essere costruite in mattoni, disporre di tetti piani, di cantinato e di giardino.
Quando venne costruita, tra il 1929 e il 1932 nel triangolo compreso fra la Veitingergasse, la Jagdschloßgasse e la Jagicgasse, la "Werkbundsiedlung" fu il più grande cantiere in Europa.

Quando nell'estate del 1932 venne inaugurata, fu una sorta di mostra a cielo aperto, che il pubblico poteva visitare liberamente per farsi un'idea e magari acquistare una nuova dimora. La crisi mondiale che mordeva anche l'Austria alle soglie dell'austrofascismo fece sì tuttavia che i compratori fossero pochi, inducendo la municipalità ad acquisire via via una cinquantina di quelle case.

Col tempo sempre più consegnato al degrado e dall'estate del 2011 sottoposto ad un completo restauro da 10 milioni di euro, quel quartiere resta un esempio importante per la storia dell'architettura. E la mostra aperta al Wien Museum fino al 13 gennaio col titolo "Werkbundsiedlung. Wien 1932. Ein Manifest des neuen Wohnens" (Werkbundsiedlung. Vienna 1932. Un manifesto per una nuova idea abitativa"), rende giustizia all'intera iniziativa, esponendone i singoli progetti, molti modelli, foto d'epoca, video con interviste sul tema, e un gran numero di arredi originali.

Il catalogo, curato come la mostra da Andreas Nierhaus e Eva-Maria Orosz, è la prima pubblicazione esaustiva sull'argomento.

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