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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2012 alle ore 11:25.

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Della guerra di Libia (1911-1912) abbiamo avuto tutti notizia sui libri di scuola, ma in un'ottica riduttivamente nazionale (se non nazionalistica), riferita cioè alla campagna per la "Quarta sponda" dell'Italia giolittiana contro l'Impero ottomano. In realtà quando fu firmato il Trattato di Losanna che pose fine alle ostilità con la Turchia – 18 ottobre 1912 – le truppe italiane controllavano solo le principali città costiere e i loro immediati circondari. «La guerra sul terreno finì solo nel 1931, quando fu definitivamente stroncata la resistenza armata (che all'inizio era stata turco-libica e dal 1918 solo libica) contro la conquista coloniale italiana».

Attraverso questo invito a «ripensare la cronologia» Nicola Labanca nel suo libro La guerra italiana per la Libia, 1911-1931, fresco di stampa da Il Mulino, inquadra «un conflitto non solo liberale, ma anche fascista» in una prospettiva più ampia e più corretta.
Il libro racconta una vicenda che l'Italia ha preferito dimenticare: conoscerla aiuta a capire anche la storia della Libia contemporanea, dall'indipendenza al regime di Gheddafi. Invece «nei primi decenni della Repubblica lo studio della storia dell'espansione coloniale italiana – prosegue Labanca - è stato affrontato da pochi studiosi, spesso nostalgici», come Enrico De Leone e Carlo Giglio.

Per una prima storia complessiva bisognerà attendere gli anni Ottanta, quando Angelo Del Boca (che aveva iniziato la sua attività professionale come giornalista alla torinese "Gazzetta del Popolo"), scrisse ben quattro libri sugli italiani nel Corno d'Africa e proseguì con altri due importanti volumi sugli italiani in Libia (Tripoli bel suol d'amore e Dal fascismo a Gheddafi). Nella sua bibliografia ragionata Labanca non dimentica l'ormai quasi introvabile libro di Santarelli, Rochat, Rainero e Goglia, Omar al-Mukhtar e la riconquista fascista della Libia, uscito nel 1981 da Marzorati (una casa editrice che da anni non esiste più), dedicato alla cattura, condanna a morte e impiccagione in pubblico (16 settembre 1931) del vecchio e rispettato capo della resistenza beduina, sostenuta dalla confraternita musulmana della Senussia (guidata dall'emiro Idris, futuro sovrano della Libia indipendente, all'epoca in esilio in Egitto).

Per stroncare la rivolta interna della Cirenaica, culminata nell'esecuzione di Omar al-Mukhtar, il vice governatore Rodolfo Graziani (formalmente sottoposto al governatore della Libia Pietro Badoglio) organizzò una serie di campi di concentramento, in cui rinchiuse quasi metà della popolazione della Libia orientale, con l'eccezione della metà costiera e stanziale della Cirenaica. «Per interrompere i commerci e soprattutto i sostegni che dall'Egitto e dalla comunità senussa lì stabilitasi continuavano a venire alla resistenza anticoloniale cirenaica, fra aprile e settembre 1931, Graziani fece costruire un enorme reticolato confinario lungo 270 chilometri».

Le lunghe marce di avvicinamento delle popolazioni seminomadi dalle alture del Gebel verso il piano e il deserto furono durissime e gran parte del bestiame, già provato dai trasferimenti, morì per la stentata vita all'interno dei reticolati. «Questa violenza coloniale, che è inestricabile dalla storia dell'Italia in Libia – aggiunge Labanca – mal si concilia con l'icona diffusa degli italiani brava gente».

Nell'estate 2008 la «risoluzione definitiva del contenzioso postcoloniale» parve arrivare dal Trattato di amicizia italo-libica, firmato da Gheddafi e dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Bengasi. Ma ciò che interessava maggiormente ai due governi erano gli scambi commerciali (l'Italia fino al 2011 ha assorbito un quinto dell'export libico, soprattutto petrolio e gas naturale ) e il freno all'immigrazione nella Penisola. «In definitiva – commenta l'autore del libro – a entrambi i leader politici, in modi assai diversi, il trattato non portò fortuna».
Nel centenario della guerra del 2011, l'ex colonia italiana ha assistito alla guerra civile, all'intervento militare internazionale e a un trapasso di poteri. «Il regime di Gheddafi è crollato e il suo leader è stato ucciso. Uno stendardo molto simile a quello della Senussia e del regno di Idris I, è tornato ad essere la bandiera nazionale libica. Ma – conclude Labanca - è ancora presto per dire se il cambiamento di regime darà vita a una democrazia, e di quale tipo, sull'altra sponda del Mediterraneo», senza dimenticare il rischio di un «frazionamento dell'unità del paese».

Nicola Labanca, La guerra italiana per la Libia, 1911-1931
Il Mulino, Bologna, pagg. 293, € 24,00

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