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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2012 alle ore 22:40.

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Il videogioco è cinema, il restauro è digitale. Cultura a braccetto con la tecnica

Mentre Quentin Tarantino dice che Django Unchained in uscita a gennaio potrebbe essere l'ultimo dei suoi film, classici contemporanei dal sangue evidentemente finto, dove il combattimento si ispira al fumetto o in questo caso ai film western di Sergio Corbucci – il racconto violento si sposta verso il videogioco, sempre più medium all'americana, mezzo che intrattiene e veicola contenuti. Coloro che non sono autentici nativi digitali – i nati negli anni 90, gli altri sono emigrati più o meno inseriti – avevano intuito questa evoluzione e/o commistione guardando Hunger Games, film in cui il racconto non ha prospettiva, l'ansia è meccanica, la fotografia ricorda i filtri di Instagram: si pensa a scatti di un lager nazista più che alla trasposizione di un romanzo ambientato nel futuro. Anche quelli che non hanno mai preso in mano la consolle di una Playstation possono ora capire come scambiano i media: a sette anni dall'ideazione, Assassin's creed (La fede dell'assassino), videogioco canadese di gran successo, è studiato e dibattuto come prodotto di cultura, veicolo di diffusione di storia e storia dell'arte, che si dispiega fra Templari e Terra Santa, crociati e simboli. Il protagonista-assassino vive nel ventunesimo secolo ma si sposta attraverso il tempo e lo spazio, ripercorre periodi storici in città fedelmente ricostruite, Gerusalemme, Roma, Firenze e Venezia.

Di Assassin's creed si è parlato al salone europeo della cultura di Venezia, ultimo weekend di novembre; non deve stupire il titolo dell'incontro "Le nuove dimensioni del turismo". I passsaggi sono più o meno questi: il videogioco diventa medium in cui scorre un racconto fatto anche di città d'arte. Mentre si gioca, si sbloccano anche le schede ''turistiche" avvicinandosi a una chiesa, un monumento, un edificio famoso che esiste nell'epoca in cui si muove l'assassino. «L'idea di fondo è rendere consapevole il pubblico di videogiocatori che stanno fruendo di contenuti culturali e artistici, e renderli consapevoli di questi contenuti» spiega Riccardo Hofmann, responsabile relazioni esterne e concept del progetto AC Art(R)Evolution, confluito nel museo temporaneo di Assassin's Creed, raro esempio di esposizione dedicata a un solo brand il cui materiale è ora raccolto nel catalogo Assassin's creed art revolution (Skira editore). Un progetto «che rende esplicito il contenuto artistico del gioco nella misura in cui c'è un pubblico che giocando ad Assassin's creed ha voglia di vedere una città d'arte, un monumento, un paesaggio», dice Hofmann.

Il percorso è inverso a quello tradizionale: nel videogioco-medium il contenuto non si cerca ma si trova; manca però la distinzione fra bene, male, grigio, non c'è un'etica che tesse il racconto: l'obiezione superata col fatto che Assassins's creed può essere venduto solo a chi ha più di 18 anni. «Il videogioco è medium come il cinema, il suo pubblico è lo stesso che affolla le sale cinematografiche in 3D, reale e digitale si rincorrono, dobbiamo essere abbastanza openminded per capire qual è il medium più efficace per acchiappare questo pubblico» spiega Hofmann che parla di «romanzo transmediale» del XXI secolo. Ragiona: «Così come l'arte contemporanea è stata spesso anticipatrice di fenomeni sociali, economici e culturali, così la tecnologia ha spesso influenzato o indicato nuove strade e strumenti all'arte ed alla cultura».

Altro esempio di minestrone ipercontemporaneo di generi - poco tempo fa il comune di Padova ha organizzato una serie di laboratori-residenze in cui erano mischiati drammaturghi, organizzatori di eventi culturali e disegnatori di App - è Factum Arte, workshop con sede a Madrid e Londra che «nasce dal bisogno di applicare le nuove tecnologie - ci dice il direttore e fondatore Adam Lowe, ospite del mutiforme salone di Venezia - e arriva a trasformare informazioni digitali in oggetti fisici. Raggruppa 40 professionalità da tutto il mondo, ingegneri, creatori di di software, web designer, artisti, restauratori, un mix davvero inedito di nuove tecnologie e competenze artigianali. La ricostruzione si fa con scanner tridimensionali, il restauro si compie prima in forma digitale e poi diventa reale». Ricordo che alla scuola di restauro degli Uffizi mi insegnarono che il miglior restauro è quello che non si vede, lavori su una cosa per far vedere che non l'hai mai toccata: «Il restauro digitale ha un approccio completamente diverso - osserva Lowe - si lavora su un oggetto per costruirne un secondo che ha molte delle qualità del primo, i documenti sono l'alta risoluzione, l'oggetto finale non si tocca mai». Ciò che si manipola è solo informazione digitale.



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