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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2012 alle ore 14:36.

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Chi l'avrebbe detto solo pochi anni fa. Opera e cinema si sta rivelando un binomio vincente. Così, dopo i primi esperimenti di trasmissione digitale via satellite, le dirette in alta definizione nei cinema del mondo si sono radicate. Non solo la prima scaligera, ma il Metropolitan di New York, a tuttora modello imbattibile di programmazione e marketing, il Covent Garden di Londra, Parigi, Barcellona, oltre a vari teatri italiani. Ma, nonostante Rai5, il satellite, lo streaming, la prima della Scala resta la prima della Scala. A Firenze, dove l'abbiamo vista noi, fino a poco tempo fa si faceva a botte, bisognava acquistare i biglietti con largo anticipo.

Adesso, con ben tre sale coinvolte, la cosa è più pacifica e negli intervalli c'è pure lo sponsor che offre deliziosi dragées agli spettatori. Clima rilassato e curioso, commento libero, perché il divertimento è anche questo, condividere con altri l'emozione. Come quando si va al circolino a vedere la partita sul maxi schermo anziché nel salotto di casa, vuoi mettere? Certo niente potrà sostituire il teatro, soprattutto per la fisicità del suono. In compenso si gustano particolari che in teatro sfuggirebbero, si curiosa nella buca dell'orchestra, si ammira il gesto di Barenboim.

E allora, con un'opera che diventa sempre più cinematografica, si dovrà sempre più pensare a un equilibrio che soddisfi le diverse esigenze. Anche se il sogno di ogni operoinomane (felice neologismo coniato da Alberto Mattioli nel suo "Anche stasera. Come l'opera ti cambia la vita") dovrebbe essere, per una fruizione perfetta, prima il teatro, poi la visione cinematografica, a godersi su maxi schermo ogni particolare sfuggito. Chissà cosa avrà pensato Claus Guth, a cui si deve la regia di questo Lohengrin? Lettura psicanalitica, per non dire psichiatrica, ambientazione Ottocento come ormai da tradizione (da quel famoso Ronconi son più i Wagner in redingote che altro). Bei costumi da Gattopardo di Visconti (nell'intervallo Christian Schmidt, scenografo e costumista, svelerà essere una citazione voluta), scena da casa di ringhiera con corticina e paludetta nel terzo atto, dimenticarsi qualunque accenno luminoso. Forse un omaggio alla voce brunita di Kaufmann, di una bravura strepitosa, ma i cui mezzi vocali son lontani da squillo e lucentezza che un Lohengrin di tradizione richiederebbe. Ma il più bravo è lui, non c'è dubbio. Molto più convincente qui che come Don José nella Carmen che inaugurò un paio di anni fa.

Anche il più bello, lo prova lo sdilinquimento di tante signore del pubblico. Che nemmeno l'apparecchio ortodontico impostogli dal dentista e impietosamente ripreso dalle telecamere riesce a frenare. Nel cast tutti attori convincenti, bravissimi nelle contorsioni a cui li costringe Guth, che privilegia sadicamente farli cantare sdraiati o peggio. Miracolosa la bella Annette Dasch, prelevata solo la sera prima per sostituire la sostituta dell'Elsa titolare. Peccato l'intonazione, ma è davvero scrupolosa nel delineare un'Elsa che, come da lettura registica, pare sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio. Così come il povero cavaliere del Graal, in posizione fetale al suo ingresso e alla dipartita. Il miracolo non è il "cigno gentil", ma le mezze voci di Kaufmann anche in quella posizione.

Si grattano, i due protagonisti, quando i loro personaggi devono, diciamo così, ancora consolidare i caratteri (d'altronde lo stesso regista ci spiega nell'intervallo di interpretare Lohengrin come un ragazzo ancora in cerca della propria identità). Si gratta anche il mio vicino, ormai suggestionato. Lei, povera, barcolla e casca in continuazione. Avrà apprezzato Guth la sonora risata che ha squassato la sala cinematografica quando Elsa stramazza al suolo alla domanda di matrimonio? Il maxi schermo, pure in HD, si sa, amplifica impietosamente tutto. E non perdona niente. Si inizia nel preludio del primo atto, con la tromba a cui penzola il cartellino del prezzo. Si spera non attaccato allo strumento, ma al polsino della camicia, per finire coi piedini che dovrebbero essere nudi di Elsa durante il duetto d'amore, che mostrano lungamente in primo piano in mondo visione la cucitura dei gambaletti (o salva-piedi che fossero) in fibra sintetica, trasparente sì, ma non nella cucitura, come ogni donna sa. Alla fine Barenboim e Kaufmann gli applausi li strappano pure alla sala cinematografica, perché la musica, come è giusto che sia, vince comunque, soprattutto quando è a questi livelli.

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