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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2012 alle ore 08:20.

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Ha chiuso all'improvviso il suo pianoforte e le sue partiture Dave Brubeck, decano del jazz, spentosi mercoledì 5, cioè un giorno prima di compiere i 92 anni, e dopo aver dato l'impressione di poterli festeggiare in piena attività.
Personalità di spicco, la sua, con caratteri raramente pareggiabili. A cominciare da studi profondi, un po' personali ma anche con l'insigne Darius Milhaud (e perfino un paio di lezioni chez Schoenberg): una preparazione "colta" apparsa evidente quando esordì formando, nel 1948, un ottetto ardito e raffinato, che non durò molto ma che lasciò un'impronta.
In quel primo gruppo già figurava l'altosassofonista Paul Desmond (1924-77), e magistrale intuizione fu richiamarselo vicino, nel '51, per trasformare un non eccelso Brubeck Trio in uno dei più bei quartetti della storia.
In quella simbiosi, durata tre lustri ma poi con spettacolari riunioni, Desmond s'impose per il suo stile morbido, aggraziato, lontano pure da quello percussivo e a volte "feroce" dello stesso leader. Disse di sé: «Ho vinto molti premi come il più lento alto sax del mondo, fuori moda prima ancora che qualcuno mi conoscesse». Uomo di spirito, oltre che magnifico solista, ma a Brubeck diede serio, decisivo apporto per qualcosa che avrebbe garantito successo e fortuna: la ricerca sul "tempo", per crearne di insoliti, complicati, ebullienti.
Un evento fu, nel 1959, un microsolco della Columbia, intitolato appunto Time out, interamente giocato su quell'ardita formula ma soprattutto marcato da due brani oggi ancora emblematici (e ascoltatissimi): Blue rondo à la turk, su un ritmo diviso in 9/8, era stato scritto da Brubeck e Take five, in 5/4, da Desmond. Non sarebbe equo dimenticare il lavoro svolto, su quei substrati ritmici, anche dal semicieco batterista Joe Morello. A quel disco capolavoro altri sarebbero seguiti, con i musicologi impegnati a decifrare frazioni vieppiù intricate, ma nell'ascolto irresistibili.
Per Brubeck, del resto già consacrato dalla copertina del settimanale «Time» (8 novembre 1954, prima di lui soltanto Armstrong), fu quello il culmine della fama. Scomparso Desmond, restò grande anche con altri partner, tra cui Gerry Mulligan, e li trovò pure in famiglia, in tre dei suoi sei figli: Darius (il nome di Milhaud...), Dan e Chris, tutti validi.
In più, Brubeck fu protagonista in margine alla musica, in istituzioni assistenziali come la Jazz Foundation of America ma anche nell'opposizione al razzismo dei tempi più bui. Spiegò che l'esperienza della guerra gli aveva mutato la visione del mondo, e vi includeva la conversione al cattolicesimo, dichiarata nel 1980, quando compose la messa To hope. Fu onorato da atenei e da più presidenti degli Stati Uniti (Obama il 6 dicembre 2009, ottantanovesimo compleanno, alla Casa Bianca). Il governatore Schwarzenegger lo nominò "leggenda" della natia California.
È facile capire quanto il jazz si sarebbe impoverito, perdendo Dave Brubeck, se non fossero stati inventati i dischi.
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