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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2012 alle ore 08:17.

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Due ci paiono i pilastri duraturi della breve storia degli Stati Uniti, sorti con la guerra d'Indipendenza del 1776. Il primo è la Costituzione redatta a Filadelfia nel 1787 dai rappresentanti delle dodici ex colonie che gettarono le fondamenta del primo Stato liberale moderno a struttura federale con un sistema politico-istituzionale tuttora funzionante. Il secondo è relativo alla composizione della popolazione americana che ingloba una gran varietà di persone provenienti da etnie, religioni e lingue assai diverse le quali riescono a convivere in una democrazia ad alto grado di consenso.
Queste le ragioni profonde per cui gli americani sono così diversi dagli europei che non hanno né un'esperienza politico-istituzionale comune, né l'attitudine a coesistere con i diversi, come segnalano le turbolenze delle masse di immigrati che affluiscono nelle nostre società benestanti. In Cosa pensano gli americani di noi Francesco Antinucci traccia un profilo dell'identità americana senza ricorrere alle armi dello storico, del politologo o del sociologo ma servendosi di un'agile forma dialogica articolata su quattro temi ritenuti cruciali per lo spirito del Paese. Nel dialogo sulla cittadinanza si mette in rilievo che il principio di identità americano non si basa sul carattere storico-etnico della popolazione come in Europa, bensì sull'adesione a un credo ideologico-politico-istituzionale che trova nell'antica Costituzione il fondamento e nella bandiera il simbolo universalmente rispettato. Gli immigrati, bianchi fino alle prime decadi del Novecento e oggi di origine perlopiù ispanica oltre che orientale, si sono integrati in terra americana e convivono pacificamente grazie a una adesione alla religione civile democratica e a un'economia aperta. Il tradizionale sigillo presidenziale Ex Pluribus Unum è oggi più che mai espresso dal presidente Barack Obama che rappresenta l'America multietnica, radicalmente diversa da quella che si fondava sulla supremazia bianca rimasta immutata per due secoli.
Nel dialogo sull'uguaglianza si richiama il passaggio della Dichiarazione d'Indipendenza «tutti gli uomini sono stati creati uguali» che è stato il riferimento dell'America come Land of opportunities in cui ciascun individuo vale solo per quello che è e quello che fa, e non già per la sua condizione di nascita, classe o per il circuito sociale cui appartiene. È lo spirito della nazione che è nata da zero su un immenso territorio e non ha conosciuto l'Ancien Regime contro cui le rivoluzioni liberali e democratiche europee hanno dovuto combattere per debellare le antiche disuguaglianze. Certo, gli americani non ritengono che l'uguaglianza poggi su un'impossibile equiparazione tra gli individui, ma sono convinti che la parità dei punti di partenza permetta a tutti di farsi valere contando sulle proprie forze. Di qui l'adozione generalizzata nell'organizzazione sociale, e specialmente nel sistema scolastico, del ranking, cioè della classificazione degli individui al fine di selezionare i meritevoli. Nel dialogo sulla filantropia si sottolinea che l'attitudine a donare, principale ragione di floridezza delle prestigiose università e delle grandi istituzioni culturali, ha radici nel comportamento etico individuale e nell'obbligo morale che i ricchi sentono di fronte alla società che ha dato loro il successo economico. Nel dialogo sulla menzogna, infine, si evidenzia la diversità che il peso della parola ha per europei ed americani. Per l'uomo pubblico statunitense è gravissimo mentire al punto che proprio su questo reato due Presidenti sono stati sottoposti a impeachment: Nixon che si è dovuto dimettere, e Clinton che è stato assolto.
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Francesco Antinucci, Cosa pensano
gli americani (e perché sono
così diversi da noi), Laterza, Bari,
pagg. 104, €12,00

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