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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2012 alle ore 19:13.

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Per quelli che li amano non sono (semplicemente) una band di rock psichedelico o progressive: rappresentano il concetto stesso di «oltre» applicato alla musica. Sempre e in ogni caso. Per quelli che li odiano sono il gruppo più lento della storia del rock. Roba da ascoltare muniti di thermos di caffè. Quelli che li amano e quelli che li odiano converranno su un particolare: i Pink Floyd sono legati all'Italia e al pubblico italiano da un rapporto speciale, cementatosi in 45 anni di dischi (spesso meravigliosi), concerti (talvolta leggendari), frequentazioni (sempre intense).

Viene da pensare proprio a questo rapporto mentre si legge «Pink Floyd. Storie e segreti», libro pubblicato da Giunti nella collana Bizzarre, fondata da quella vecchia volpe di Riccardo Bertoncelli. Porta la firma dei Lunatics, cinque collezionisti di lungo corso che di vista si conoscevano già dagli anni Ottanta, per l'assidua frequentazione di fiere del disco ed eventi floydiani, e nel 2008 – grazie a quel formidabile catalizzatore che è internet – si sono costituiti in «gruppo di lavoro» che organizza mostre, alimenta dibattiti, effettua ricerche sul quartetto di Cambridge.

Nino Gatti è lo storico della band, Riccardo Verani, Stefano Girolami e Stefano Tarquini gli esperti di dischi e incisioni rare, Danilo Steffanina il catalogatore di poster e memorabilia. Presi insieme, posseggono una collezione che farebbe invidia persino Oltremanica e ne sanno più di quante David Gilmour e soci se ne ricordino. Il libro che hanno dato alle stampe rappresenta un viaggio tra aneddoti e curiosità che un po' diverte, un po' contribuisce a fare luce sui numerosi «dark sides» della storia della band. Con un'attenzione particolare ai rapporti con il nostro Paese.

Quando li presentò Raimondo Vianello
«Come tutti i grandi amori – racconta Stefano Tarquini, possessore di qualcosa come 2.300 edizioni di dischi floydiani – quello nutrito dal nostro pubblico nei confronti dei Pink Floyd si fonda su un paradosso: la band, nei suoi anni d'oro, ha suonato pochissimo nel nostro Paese». E l'«assenza» (tema caro ai quattro) si sa che alimenta il mito. E che mito: basti pensare che la prima trasmissione radio in pompa magna di un pezzo dei Floyd, datata 24 marzo 1968, avvenne nel corso del «Gran Varietà» di Radio 2 condotto da un certo Raimondo Vianello. Chissà quali frecciate il popolare showman indirizzò alle visioni lisergiche di Syd Barrett. Presumibilmente il pezzo mandato in onda fu il singolo «See Emily play» che nella discoteca centrale della Rai, un anno prima, era stato classificato con il genere «shake» e la specifica «canzone straniera ballabile». Certo che dovevano intendersene a via Asiago.

Concerti al Piper per pochi intimi
Il libro va poi a scovare tracce delle cinque esibizioni romane del '68. «Le prime quattro – continua Tarquini – si svolsero al Piper, tempio del beat in riva al Tevere. Due esibizioni al giorno, una pomeridiana e una serale, il 18 e il 19 aprile. Così da accontentare anche i ragazzi che dovevano rientrare a casa per cena». Ci andarono poche decine di spettatori, tanto che di ritorno a Londra il gruppo se ne lamentò con il «Melody Maker». Se non altro, c'era Patty Pravo in platea che all'epoca non doveva passare proprio inosservata. Qualcuno credeva di aver visto esibirsi Barrett, ma sul palco c'era già Gilmour che lo sostituiva. Flop clamoroso anche per il «First European International Pop Festival» svoltosi nella Capitale nel maggio di quell'anno, una catastrofe organizzativa che i Lunatics documentano con dovizia di particolari come fanno pure per il «pasticciaccio» del tour '71.

Quell'«appuntamento» con Rita Pavone
Altra chicca: la nostra Rita Pavone per anni s'è vantata di essere finita nel testo «Saint Tropez», scritta per l'album «Meddle». E citava il passaggio: «And you're leading me down to a place by the sea/ I hear your soft voice calling to me/ making a date for Rita Pavone». Ma come? L'interprete di tanti leggeri tormentoni come «Il ballo del mattone» che diventa fonte d'ispirazione per l'intellettualissimo Roger Waters? Possibile? No: la leggenda metropolitana nascerebbe da un'errata trascrizione del testo da parte di fonti non ufficiali. Nel testo originale, stampato per la prima volta nel '92, la frase incriminata diventa: «making a date for later by phone». Chissà se l'indimenticabile «Pel di carota» se n'è fatta una ragione.

The Lunatics
«Pink Floyd. Storie e segreti»
Giunti
Euro 22
pp. 256

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