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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2012 alle ore 08:19.

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Mai abbiamo dubitato. Ma ora, visitata la mostra «Simone Peterzano e i disegni del Castello Sforzesco» inaugurata ieri pomeriggio nella Sala del Tesoro, ne siamo davvero certi! La notizia-bomba dell'estate 2012 del ritrovamento di 100 fogli giovanili del Caravaggio nel "Fondo Peterzano" del Castello Sforzesco di Milano a opera di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli – che, complice la raffica di comunicati stampa diffusi dall'Ansa senza aver prima compiuto le doverose verifiche, fece letteralmente il giro del mondo mettendo in subbuglio l'opinione pubblica internazionale – era, anzi è a tutti gli effetti il più grande falso-scoop mai sentito nella storia dell'arte negli ultimi decenni. Mosso da profonda indignazione e da un imperativo morale, denunciai apertamente lo scandalo nell'articolo pubblicato il 15 luglio su queste pagine ove, fotografie alla mano, fornivo prove schiaccianti per smascherare tre dei cento fogli ingiustamente assegnati al maestro lombardo, in realtà sterili copie accademiche da sculture antiche. Ma furono i risultati delle meticolose ricerche compiute nelle successive settimane, confluiti nelle sei puntate della rubrica «Altro che Caravaggio!», a rivelare inequivocabilmente quanto la «scoperta che rivoluziona il sistema Merisi» (così fu definita con spavalderia dai due autori) fosse un autentico colabrodo colmo di clamorosi svarioni attributivi. Fogli d'ambito leonardesco e gaudenziano, derivazioni da dipinti barocchi, pacchiane copie tratte da modelli classici e, addirittura, disegni settecenteschi: quest'incredibile cocktail di stili, mani ed epoche differenti veniva spacciato tout court quale frutto del fervido sperimentalismo giovanile del Caravaggio durante gli anni di apprendistato nella bottega di Simone Peterzano (1584-1588). Roberto Longhi si sarebbe messo le mani nei capelli!
Come è stato riconosciuto anche da molti colleghi storici dell'arte, gli articoli che ho scritto per Il Sole 24 Ore-Domenica hanno aperto gli occhi all'opinione pubblica sull'ennesimo falso scoop storico-artistico, ma hanno anche fatto da apripista al lavoro svolto in questi mesi dal comitato internazionale formato da insigni studiosi di disegno antico incaricato dall'Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Stefano Boeri, di vagliare l'attendibilità delle discusse attribuzioni caravaggesche. E oggi non possiamo che essere fieri e orgogliosi della campagna pro veritate condotta, perché le conclusioni a cui gli specialisti sono giunti corrispondono a quanto avevamo fin dall'inizio sostenuto: nessuno, ripeto nessuno dei cento disegni assegnati con certezza granitica da Curuz e Fedrigolli al giovane Caravaggio è di sua mano!
Oltre ad aver accolto le osservazioni critiche espresse nella fortunata rubrica estiva (in mostra sono infatti proposti tutti i confronti che avevo avanzato, come quello con la Testa di Seneca di Guido Reni, con Alessandro morente degli Uffizi e con i Tre angeli del Procaccini), la commissione scientifica ha posto in evidenza l'estrema disomogeneità stilistica e cronologica dei 100 presunti fogli del Merisi, rilevando al contempo altri grossolani errori attributivi di cui vi daremo conto non appena sarà pubblicato il catalogo. Vi anticipiamo solo che tra gli "ex-Caravaggio" abbiamo visto un foglio tardo seicentesco attribuito a Stefano Maria Legnani detto Legnanino, un disegno del 1629 di Giovanni Francesco Lampugnani e altre copie da modelli antichi e da Raffaello e Giulio Romano.
Sebbene questa grottesca vicenda rappresenti senza dubbio una triste pagina per la storia dell'arte italiana, credo si possano comunque trarre alcuni insegnamenti utili per il nostro lavoro di ricercatori e storici dell'arte che, mi auguro, il lettore condivida: la ricerca scientifica, in qualsiasi disciplina del sapere compresa la storia dell'arte, va affrontata con serietà, rigore e grande umiltà. Non bisogna mai essere troppo sicuri delle proprie tesi ed è sempre bene porsi interrogativi e individuare i punti deboli da discutere con studiosi che possiedono conoscenze più approfondite delle nostre;
– le fonti antiche sono la base di partenza imprescindibile di ogni ricerca nel campo della storia dell'arte e vanno assolutamente rispettate. Nessuno dei biografi seicenteschi parla di disegni del Caravaggio, né di una sua attività nel campo delle arti grafiche. Van Mander, Mancini e Baglione ricordano concordemente che il Merisi dipingeva la realtà direttamente sulla tela, ritraendo il modello dal vivo che sempre aveva dinnanzi agli occhi nel suo studio;
– le opere d'arte vanno sempre analizzate de visu, a maggior ragione quando si vuole proporre una nuova importante attribuzione: le fotografie ingannano terribilmente anche l'occhio più esperto;
– non è possibile assegnare con certezza a un artista un disegno senza avere una "pietra di paragone", cioè un foglio sicuramente autografo di quel maestro sulla base del quale poter istituire confronti filologici;
– le affinità iconografiche e morfologiche, ad esempio di un volto, una mano o di un panneggio, non sono sufficienti al fine dell'attribuzione. Esse, infatti, potrebbero semplicemente essere frutto della casualità o di una nostra errata convinzione. Determinanti sono, invece, i caratteri stilistico-formali peculiari del lessico espressivo di ogni artista: il suo tratto, il modo in cui esegue le ombreggiature, tornisce i volumi, abbina i colori e utilizza le luci;

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