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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2012 alle ore 08:19.

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Qui a Roma ha forse dato il meglio di quell'arte di «appoggiare senza afferrare» che secondo Francesco Dal Co, «garantisce la misura e l'appropriatezza con cui le sue costruzioni si collocano negli ambienti che le ospitano».
Reinterpretando l'arguzia manierista dello Zuccari, Baldeweg si è tenuto nascosto dentro il contorno delle storiche facciate, riservando al visitatore la sorpresa di trovare, appena varcato la bocca del Masscherone, il vuoto di luce di un grande pozzo di vetro che sale per tutti i piani della nuova biblioteca, disegnati come altrettanti terrazzamenti che ricordano la topografia dei giardini luculliani. Un intervento forte ma in punta di piedi: un paradosso artistico di quelli cui il "pittore" Baldeweg ama ricorrere e che qui assume il tono di un imperativo sociale. Creare le condizioni di serena leggibilità, dove la luminosità dell'ambiente si sposa alla materializzazione del silenzio imposto dalla concentrazione dello studio. L'apparente semplicità rischia di oscurare la straordinaria impresa tecnica di un cantiere impossibilitato ad appoggiarsi al suolo per non toccare i resti archeologici romani e quindi costretto a "inventarsi" una soluzione strutturale ardita e ardua da realizzare in uno spazio tanto ristretto. Per Baldeweg la tecnica è un mezzo non un risultato da esibire: è stato fortunato a trovare nello studio Da Gai di Roma e nei team di ingegneri che hanno ispirato la particolare struttura portante, dei complici alla sua altezza e non solo degli interlocutori.
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