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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2012 alle ore 08:17.

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Ammettiamolo: anche i più scettici di noi qualche pensierino sull'imminente fine del mondo l'hanno fatta. Abbiamo naturalmente respinto l'idea come radicalmente infondata, pregustando la soddisfazione, il 22 del mese, di dire (a chi poi? Pochi ammettono di aver creduto alla profezia dei Maya): «Visto?».
Ma c'è poco da fare: la fine del mondo affascina, se non come esperienza diretta almeno al cinema e nelle chiacchiere quotidiane. Naturalmente fare di ogni erba un fascio non aiuta: ci sono molte sfumature, accompagnate da livelli variabili di senso di colpa. Si sentiva perciò il bisogno di un catalogo ragionato delle fini del mondo possibili, e ci ha pensato Telmo Pievani,(La fine del mondo.Guida per apocalittici perplessi) che già in passato aveva provato a spiegare come mai tendiamo così cocciutamente a credere all'incredibile (Girotto, Pievani, Vallortigara, Nati per credere, Codice). Nella preistoria, chi non sapeva rapidamente prevedere le mosse degli altri aveva la sorte segnata; è probabile che, sotto questa pressione, il nostro cervello si sia specializzato a riconoscere intenzioni: sia dove ci sono (nel comportamento degli uomini e degli animali) sia dove non ci sono, per esempio nei fenomeni naturali, attribuiti di volta in volta a volontà benefiche o malefiche.
La fine del mondo si presenta secondo cinque modalità principali. C'è la catastrofe, che scioglie definitivamente il dramma; il disastro, frutto della cattiva stella; la nemesi, cioè il meritato castigo; l'estinzione, di un'intera specie o di un suo gruppo; e infine l'apocalisse, una fine che è anche una rivelazione. Come si vede, cinque finali diversi più per il modo in cui li interpretiamo che per quello in cui si manifestano. O magari non si manifestano: nonostante i molti annunci, finora si è trattato solo di falsi allarmi. Ma di questa tassonomia Pievani si serve per andare più a fondo. Ci racconta quanto l'idea di catastrofe sia stata presa sul serio, anche troppo, da naturalisti che spiegavano le grandi estinzioni del passato con ripetuti diluvi universali, poi sia caduta in discredito, e infine rivalutata, con l'emergere di dati scientifici che dimostrano come grandi disastri naturali siano effettivamente avvenuti, anche se di rado; ma quando sono avvenuti hanno causato profondi cambiamenti nel mondo biologico.
Intorno al 99% delle specie comparse sulla terra, animali e vegetali, si è estinto. Sono stime per forza di cose approssimative, ma servono a darci un'idea di quanto siamo piccoli: la nostra specie arriva all'ultimo momento, dopo quasi quattro miliardi di anni di vita sulla terra. Centomila anni fa l'espansione dall'Africa dell'uomo anatomicamente moderno,è stata anch'essa un evento catastrofico per molti nostri parenti, cioè per quelle forme umane arcaiche dell'Europa e dell'Asia scomparse in sospetta coincidenza col nostro arrivo (dall'uomo di Neanderthal all'ultimo della serie, l'uomo di Denisova, del cui Dna sappiamo molto, ma di cui ignoriamo l'aspetto perché ne conserviamo solo un dente e una falangetta). Ma anche, molto prima, l'estinzione dei grandi rettili è stata frutto di una catastrofe, quella da cui il viaggio di Pievani prende le mosse. Sessantacinque milioni di anni fa un asteroide ha colpito la terra nel golfo del Messico, mettendo in moto una catena di cambiamenti climatici che hanno consegnato il pianeta a piccole creature dal grande futuro, gli antenati degli attuali mammiferi.
Due messaggi dunque: niente paura, la fine del mondo c'è già stata, più di una volta, e qualcuno se l'è sempre cavata. E poi la fine del mondo è necessaria, se no il nuovo mondo non ce la farebbe ad affermarsi. Il secondo messaggio può irritarci, perché ci fa sentire con chiarezza i nostri limiti, ma può anche ispirarci pensieri diversi. Una terra senza di noi era stata già immaginata da Giacomo Leopardi, concorde in questo con Charles Darwin: siamo creature speciali, ma l'universo non è stato edificato intorno a noi, e riuscirà a cavarsela anche quando l'umanità non ci sarà più. Piuttosto che sentirci smarriti di fronte a questa eventualità, si può provare una forma di orgoglio, constatando quanto preziosa sia la nostra presenza sulla terra, visto che non era affatto scontata. E questo messaggio Pievani lo affida, nell'ultima pagina, ai versi della grande poetessa Elena Szymborska: «Sono quella che sono | un caso inconcepibile | come ogni caso».
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Telmo Pievani, La fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi, il Mulino, Bologna, pagg. 188, € 15,00

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