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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2012 alle ore 08:20.

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Vorrei anticipare almeno un po' degli elogi postumi che verranno resi ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella, «due dei massimi artisti italiani tra XX e XXI secolo» (Arte in Italia 1950-2050, edizioni Libridicarta 2055).
Rezza e Mastrella lavorano insieme da più di vent'anni. Una piccola percentuale di italiani ha visto le loro opere a teatro: cinque in un quindicennio, e chi le conosce sa perché tra l'una e l'altra devono correre tre anni: perché Rezza e Mastrella fanno tutto da soli, partendo da zero ogni volta, e non si ripetono. Una percentuale anche più piccola ha visto i loro film (Escoriandoli, Delitto sul Po). Una percentuale un po' più alta ha intravisto Rezza in Tv, o lo ha intrasentito in radio: è stato ospite di Linus a Radio Deejay, di Daria Bignardi alla Sette – interviste venute male, anche quella con Linus, che pure è un virtuoso del genere, perché Rezza è un timido aggressivo e, vinto dall'imbarazzo, perde tutta l'ironia e si mette a pontificare. Ma non gli hanno mai dato una striscia serale su Rai 3, o la conduzione di Domenica In. Uno si domanda come il pensionato in poltrona accoglierebbe, al posto delle pillole di saggezza di Giletti, certe massime lapidarie come (da Escoriandoli) «Dei vivi restano solo le cazzate» o «La speranza la lascerei agli stronzi», o lo sketch sui due genitori che si drogano di nascosto dal figlio reazionario. Le accoglierebbe bene, probabilmente: il pubblico non è maturo ma matura, se gli si dà un po' di corda, e di solito l'intelligenza, sgomitando, trova la sua strada.
Di fuori, il tempo non li ha cambiati molto. Rezza è rimasto magro, così magro da sembrare alto (non è alto): e all'impressione collabora la testa lunga e scavata da affamato, i lineamenti da zingaro. Di dentro, la maturità ha portato una specie di rasserenamento. Chi ha visto i loro primi «corti» ha conservato soprattutto una sensazione d'angoscia. Erano pieni di figure atroci, di mutilati psichici e fisici lasciati a marcire in un deserto. Quel pessimismo non è scomparso, perché si è come si è, ma cogli anni è arrivata anche la saggezza, e quello che faceva soffrire o indignare a trent'anni fa soprattutto ridere a quaranta: si scopre che sotto il sole non c'è, oltre che niente di nuovo, niente di serio. Vale il motto di Beckett, «en face le pire / jusqu'à ce qu'il fasse rire», salvo il fatto che, a differenza di Beckett, Rezza e Mastrella ridono veramente, e fanno ridere, e non sono mai noiosi.
Il metodo di questi grandi derisori combina insieme tre ingredienti: scrittura, voce, corpo. La scrittura è scorciata, aforistica, zeppa di parallelismi e di giochi di parole. Ma non c'entra niente con, diciamo, la scrittura di Bergonzoni, perché più che giocare sui significanti gioca sull'idiozia dei clichés della comunicazione corrente. I giochi di parole abbondano semmai nei racconti che Rezza ha pubblicato per Bompiani: che anche per questo funzionano molto meno bene dei testi recitati a teatro. Ma naturalmente non solo per questo: il fatto è che a teatro le parole escono deformate dalla voce, e la voce esce dal corpo deformato di Rezza, e questo sinolo di parole-voce-corpo si trova fasciato dalle perfette scenografie di Flavia Mastrella, e il prodotto finito è un Gesamtkunstwerk in cui, anziché la Cavalcata delle Valchirie, risuonano frasi come «E pure 'sta giornata la semo quasi tramortita».
Di cosa parlano Rezza e Mastrella? Cioè: di chi? Perché Rezza e Mastrella sono dei ritrattisti, non dei narratori. Volendo isolare un tratto comune, si tratta quasi sempre di esseri umani in difficoltà, dove la difficoltà è data, più che dalla miseria privata (che pure c'è, in forme accoranti), dalla miseria circostante, cioè dalla frizione tra l'essere umano nudo e il mondo, la società e le sue leggi, i suoi mandanti: parenti ossessivi, datori di lavoro prevaricanti, conoscenti molesti. Di fatto, il loro è un teatro di monologhi: quelle che vediamo sono le conseguenze che le angherie del mondo provocano sul corpo e sullo spirito del pover'uomo che le subisce. Ma nessuno più di loro è lontano dal cattivo gusto della denuncia e del moralismo. Sono mali dell'esistenza più che mali della società, perciò immedicabili: anche se non lo direbbero mai in un modo così magniloquente, più della condizione umana oggi, a Rezza e Mastrella interessa la condizione umana tout court. L'unico rimedio è la passività, l'inazione, ammazzare il tempo non facendo niente. Per questo i loro personaggi stanno così spesso in orizzontale, su un letto o per terra, e per muoversi da un posto all'altro non camminano, strisciano.
Molte vecchie cose si trovano su YouTube. E fino all'inizio di gennaio il loro nuovo spettacolo, Fratto X (splendido), è in scena a Roma, al Teatro del Vascello. L'alternativa è aspettare gli elogi postumi.
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