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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2012 alle ore 08:15.

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Ma allora da dove viene la vivida esperienza dello scorrere del tempo? La conferenza di Città del Capo ha offerto articolati elementi di risposta, combinando pezzi del puzzle provenienti da discipline diverse. Gli psicologi hanno puntato il dito sulla percezione diretta del fluire, per esempio quando vediamo il movimento. Le lancette di un orologio che segnano ore, minuti e secondi si muovono tutte, ma la lancetta dei secondi, in più, la vediamo muovere. Ma la percezione, insegnano gli studi sui neuroni, è il risultato di una ricostruzione complessa all'interno del nostro cervello, non un'esperienza diretta. Un contributo cruciale viene dagli psicologi dell'infanzia e dagli studi di antropologia e linguistica. I primi esplorano il formarsi dell'organizzazione temporale dell'esperienza adulta, nei bambini intorno ai quattro e cinque anni. I secondi, sottolineano come le nozioni di tempo siano profondamente diverse in culture lontane. Chris Sinha, dell'Università di Lund in Svezia, ha scoperto che la popolazione degli Amondawa, in Amazonia, parla una lingua in cui non esiste una parola che traduce "tempo", e in cui l'idea di un "tempo" in sé, distinto dagli avvenimenti, non esiste. Queste ricerche convergono nell'indicare che la percezione del tempo, lungi dall'essere esperienza primaria e universale, sia piuttosto una ricca costruzione sociale, cresciuta lentamente nella storia, influenzata per esempio dall'introduzione di calendari e orologi. La nostra nozione di tempo è un potente «strumento cognitivo culturale», per mezzo del quale strutturiamo il nostro vivere comune, prima di essere esperienza diretta.
Ma la possibilità stessa di avere tale strumento non richiede che esista qualcosa di fisico a cui il fluire del tempo faccia riferimento? Un'idea sulla quale si sono trovati a convergere diversi interventi a Città del Capo è che il fluire del tempo emerga come nozione fisica, ma nell'ambito della termodinamica, invece che nelle leggi fondamentali. I fenomeni termodinamici (temperatura, calore, equilibrio...) distinguono passato e futuro: il calore fluisce dai corpi caldi a quelli freddi e non viceversa. La fisica della fine del XIX secolo, e in particolare il genio di Boltzmann (morto suicida perché le sue idee non erano state prese sul serio) hanno mostrato che questi fenomeni sono statistici, appaiono quando si considerino sistemi con tantissime componenti (come l'aria, fatta di miriadi di molecole). Un termometro "vede" solo un valore medio dei movimenti delle molecole e la specificità dei fenomeni termodinamici nasce da questo "fare la media". Questa potrebbe essere la chiave per il mistero del tempo. Il "presente" non esisterebbe in modo oggettivo più di quanto non esista un "qui" oggettivo, ma le interazioni microscopiche del mondo fanno emergere fenomeni temporali per un sistema (come noi stessi) che interagisce solo con medie di miriadi di variabili. In qualche modo, certo ancora poco chiaro, la nostra coscienza si costruisce su questi fenomeni. A una vista acutissima il tempo "non scorre" e l'universo è un blocco di passato presente e futuro, ma noi esseri coscienti abitiamo il tempo perché vediamo solo un'immagine sbiadita del mondo; in questo sfocamento del mondo nasce la nostra coscienza dello scorrere del tempo.
Chiaro? No, certo. Molto rimane da capire, per antropologi e psicologi, per le scienze cognitive che cercano di sciogliere il nodo di comprendere questa incredibile macchina che è il nostro cervello, per i fisici che vogliono capire l'emersione termodinamica del tempo, per i filosofi che cercano di porre ordine nel guazzabuglio e mettere a nudo errori e ingenuità logiche di questo o di quello. Ma il comune terreno fornito dall'adesione a un elementare naturalismo – il rifiuto di idee contraddette dalla nostra conoscenza del mondo – permette a saperi diversi di parlarsi, e fare passi avanti verso la comprensione. Scrivendo questo resoconto della conferenza durante il lungo volo notturno di ritorno da Città del Capo, mentre il resto dei passeggeri dorme, e ripensando agli interventi e ai dibattiti vivaci, mi sembra che qualcosa del mistero si stia diradando. L'Africa scorre oscura sotto il mio oblò. Quell'Africa dalla quale la nostra specie è partita centomila anni fa per esplorare il mondo e imparare a guardare più lontano. Chissà se uno dei nostri antenati, alzandosi e mettendosi in cammino verso gli aperti spazi del nord, abbia guardato il cielo, e abbia mai potuto immaginare che un suo lontano nipote si sarebbe interrogato sulla natura del tempo, volando in quel cielo.
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