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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2012 alle ore 08:20.

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«Il signore mi permette di augurargli buon anno?» chiede il cameriere all'eroe di Ventimila leghe sotto i mari di Verne. «Accetto i tuoi auguri, caro Conseil, e li ricambio. Ti chiedo solo: cosa intendi per "buon anno?". "Non so proprio cosa dire, signore. Di certo abbiamo assistito ad avvenimenti incredibili, e da due mesi non abbiamo il tempo di annoiarci. Ritengo che, se non dispiace al signore, buon anno significhi un anno in cui potremo vedere tutto"».
I sentimenti dell'umanità riguardo alla notte di San Silvestro sono da sempre ambigui. «Il capodanno – diceva Charles Lamb – è il compleanno di ogni uomo». Ma accanto a chi festeggia i compleanni c'è chi li ignora o si veste a lutto come Oscar Wilde. In ogni caso i capodanni, coinvolgendo tutti, sono un evento più complesso da esorcizzare malgrado la svariata serie di riti e di atteggiamenti.
C'è chi come il diarista inglese Samuel Pepys decide di ignorarlo, passando l'ultima notte del 1660 «a casa, a letto». Ma non sempre è possibile. Karen Blixen, nel 1923, si è appena addormentata, quando il suo amante piomba in macchina con due aristocratici amici per portarla a un cenone che si protrae fino all'alba.
C'è chi sceglie uno sdegnoso raccoglimento. Léon Bloy legge devotamente la mistica Maria d'Agreda, mentre intorno a lui esplodono i petardi e le urla di fine anno, «una scadenza peraltro assolutamente insignificante per quegli animali che riescono solo a pensare a mangiare, a bere e a montare le loro femmine troppo feconde».
Chi invece come Modigliani sceglie di stordirsi in compagnia, facendo ingoiare agli altri invitati una pallina di hashish, che scatena la folla già esaltata dall'alcol. In quel clima sovraeccitato, quando l'enorme punch al centro dell'atelier rifiuta di prendere fuoco, l'artista risolve il problema mescolando al liquore il petrolio di una lampada. Poco dopo le fiamme raggiungono, tra l'indifferenza generale, le decorazioni di carta, mentre Modì grida versi di D'Annunzio sul fuoco, che si spegne poco dopo senza fare danni.
Un anno dopo Marinetti consuma con Isadora Duncan un cena indiana nello studio di Rodin, da lui affittato per l'occasione e «drappeggiato di altissime tende di velluto perlaceo lilla viola fumo». Ma il dessert è la danzatrice che, «ebbra di champagne cognac whisky», si esibisce seminuda solo per lui. Per poi passare, su sua richiesta, a una meccanica danza futurista. Quando, eccitata, Isadora gli chiede di sposarlo, lui declina e la porta a vedere l'alba nei giardini di Versailles.
C'è chi, come Majakovsji e Slovskij, decide di irridere al sussulto del tempo con un abbigliamento eccentrico o, come un altro futurista russo, truccandosi il viso con la matita azzurra e dipingendosi un uccellino sulla guancia. Chi ne approfitta per chiudere definitivamente una fase della sua vita, come Voltaire che, nel 1753, sfuggito alla tirannica ospitalità di Federico di Prussia, gli restituisce le decorazioni e gli onori di cui era stato insignito.
Chi sussulta sotto la presa del tempo. Nel 1908, Colette si guarda nello specchio che le rivela le «artigliate» affiorate sul suo viso. E si stupisce di quanto è diventata vecchia «mentre sognavo». Sta per compiere trentasei anni, ma sente di avere varcato una soglia. «Non piangere, non pregare, non ribellarti: bisogna invecchiare».
Chi, come il piccolo Proust di nove anni, non ha dubbi sui suoi desideri per il prossimo futuro. Quando la mamma gli chiede cosa vorrebbe per capodanno, risponde semplicemente: «Dammi il tuo affetto». Chi, come D'Annunzio nel 1897, preferisce la gloria e ringrazia l'attrice più celebre del secolo, Sarah Bernhardt: «Magnifica domina mea ho ricevuto il vostro messaggio il mattino di Capodanno, in guisa di splendida strenna e non potevo inaugurare il nuovo anno in maniera più felice».
Chi, come i fratelli Goncourt, festeggia un'agognata acquisizione, abbracciandosi nel giardino della nuova casa, al chiaro di luna del capodanno 1869. «Non siamo ben certi di non stare sognando, È nostro questo raffinato giocattolo». Chi, come Marx nel 1865, è soddisfatto del lavoro compiuto sul Capitale: «Per me era un divertimento leccare e lisciare il figlioletto dopo tanti dolori del parto».
Chi mantiene i rituali a ogni costo, come il giovane Malraux, che, arrestato in Cambogia per avere tentato di rubare delle sculture antiche, non rinuncia a festeggiare la fatidica notte in smoking bianco con la moglie in un abito di Poiret. Chi come il monco Cendrars, sfida la mutilazione subita dalla guerra e, durante una festa dal regista Abel Gance, si esibisce in una partita di tennis con un palloncino azzurro.
Chi, come il giovane Simenon, incontra il futuro. Arrivato ubriaco in una casa di conoscenti, rimane stupito: non è l'orgia di artisti che sperava, ma un quieto capodanno in famiglia. Però, appena i genitori si ritirano, la festa si anima e Sim, tra i fumi dell'alcol, nota una graziosa ragazza vestita di grigio e comincia a recitarle poesie. Diventerà sua moglie.
Chi, come Claudel, si china pentito sul recente passato: «Che Dio mi perdoni tutti gli errori che ho fatto nel corso del 1926!». Chi spera in un intenerimento della sorte, come Gide nel 1942: «Ultimo giorno di quest'anno sventurato... possa quello che seguirà riflettere giorni meno cupi...».
Ma è difficile essere più riduttivi di Cocteau nel 1956: «Mezzanotte. Sotto il vischio, passaggio ideologico da un anno all'altro. Dalla cifra 6 al numero 7».
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