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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2013 alle ore 17:51.

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Una scena del film The MasterUna scena del film The Master

Il nuovo anno si apre sotto il segno del cinema americano: in questo primo weekend del 2013, nelle sale italiane arriva «The Master», pellicola a stelle e strisce tra le più attese dell'intera stagione.

Diretto da Paul Thomas Anderson, regista di «Magnolia» (1999) e «Il petroliere» (2008), «The Master» è stato presentato in concorso all'ultima Mostra di Venezia dove ha ottenuto il Leone d'Argento per la migliore regia e la Coppa Volpi ex-aequo per i due protagonisti maschili, Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix.

Accompagnato fin dalla pre-produzione da forti polemiche, a causa degli evidenti rimandi alla nascita di Scientology, il film, ambientato a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni '50, racconta del particolare rapporto tra Freddie Quell, un vagabondo alcolista reduce di guerra, e Lancaster Dodd, uno scrittore-filosofo-scienziato (come si definisce lui stesso) a capo di una particolare setta religiosa. Allo stesso tempo succube e affascinato dai metodi del "maestro", Freddie pare destinato a diventare il secondo in comando dell'intera organizzazione.
Se nel precedente «Il petroliere», Paul Thomas Anderson analizzava similitudini e differenze tra il capitalismo e la nascita delle chiese evangeliche, in «The Master» lo scontro, individuale, è tra una mente fragile e una forte, tra un personaggio disperato e uno sicuro di sé.
Come in tutti i precedenti lavori del regista, la fattura è impeccabile ma, in questo caso, l'eccessiva freddezza rischia di rendere l'intera visione troppo cervellotica e complessa.

Chi si aspettava un capolavoro rimarrà forse deluso, anche a causa di una seconda parte in calando rispetto alla prima, ma «The Master» resta ugualmente un'opera di spessore, in cui Anderson riesce a scavare, spietatamente, sotto le ferite di quel sogno americano che per realizzarsi non può rinunciare ad alcuni compromessi.

Oltre ai due straordinari protagonisti, una menzione speciale va alle musiche di Jonny Greenwood, chitarrista e compositore dei Radiohead.
Pellicola a stelle e strisce decisamente meno impegnata è «Jack Reacher», opera seconda di Christopher McQuarrie con Tom Cruise.
Il film si apre a Pittsburgh nel momento in cui un cecchino uccide cinque persone in pochi secondi. Tutte le prove indicano la colpevolezza di un sospettato in arresto: quest'ultimo, durante l'interrogatorio, si limita a scrivere poche parole: «trovate Jack Reacher!». Ha così inizio una contorta caccia alla verità su quanto è accaduto.

Nonostante un'efficace sequenza introduttiva, «Jack Reacher» è un action-movie come tanti, che perde molto presto lo slancio iniziale.
Le situazioni oltre i limiti dell'assurdo si mescolano a scelte registiche piatte e prive del mordente necessario per un film di questo genere.
All'interno di un cast sottono (davvero impresentabile Rosamund Pike), da segnalare la discreta performance di Werner Herzog nei panni del villain di turno.

In una settimana segnata dal cinema americano, c'è anche spazio per un'attesa pellicola di casa nostra, seppur girata in lingua inglese: «La migliore offerta» di Giuseppe Tornatore con protagonista Geoffrey Rush.
L'attore australiano interpreta Virgil Oldman, esperto d'arte eccentrico e apprezzato in tutto il mondo per il suo lavoro. La sua vita verrà sconvolta da Claire, donna misteriosa e affascinante che lo contatta per una valutazione.

Ispirandosi ad alcuni noir degli anni '40 e '50 (come «La donna del ritratto» di Fritz Lang), Tornatore realizza un thriller di media fattura, i cui colpi di scena funzionano soltanto nelle prime battute.
Eccessivamente didascalico e studiato a tavolino, «La migliore offerta» si regge su alcune sequenze pregevoli (tra cui quella conclusiva), ma insufficienti a costruire un riuscito mosaico d'insieme.
Un vero peccato perché le premesse per ottenere un buon prodotto c'erano tutte.

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