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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2013 alle ore 17:33.

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Per fortuna sono passati i tempi in cui la pubblicazione in Italia di un volume dedicato (in tutto o in parte) alla musica afro-americana era un avvenimento da ricordare a lungo, fino alla pubblicazione del successivo. Adesso ce ne sono molti, perfino troppi e bisogna scegliere. Di grande importanza è Hot Jazz di Giorgio Lombardi (Daniela Piazza Editore, Torino 2012, pagg. 422, € 28).

A prima vista il libro non appare del tutto nuovo, essendo un compendio delle opere maggiori dell'autore, cioè New Orleans-Chicago-New York per De Rubeis che risale al 1993, e i due tomi del 2003 e del 2005 per Daniela Piazza, anch'essi intitolati Hot Jazz, molto noti e apprezzati quanto meno dagli esperti e dai cultori del jazz delle origini e dei decenni seguenti. In realtà, a ben guardare, questo lavoro che approda ora in libreria è frutto di revisioni e di aggiornamenti accurati, ha il pregio di presentarsi in un unico tomo di consultazione agevole e semplificata e quindi, come succede in questi casi, è più «nuovo» dei precedenti.

Last not least, Giorgio Lombardi è uno dei massimi esperti della materia non soltanto a livello nazionale, e lo conferma qui con la vastità e la finezza della trattazione. Ci voleva, questo eccellente richiamo al percorso storico del jazz, in mezzo a tanti scritti sul presente e sul futuro non di rado discutibili. Un po' di curiosità desta il sottotitolo del libro che campeggia sulla copertina rossa, dove fa mostra di sé la riproduzione di uno dei mirabili dipinti sul jazz di David Stone Martin: . Perché il secondo dei quattro celebri fratelli musici? Non certo perché Lombardi lo consideri un passatista come altri hanno scritto a torto. Il fatto è che il grande trombettista è nato e cresciuto a New Orleans, e «l'impatto con l'hot-jazz ricevuto da ragazzo ascoltando il padre Ellis che suonava il dixieland nei cabaret del French Quarter ha lasciato un segno indelebile nell'incisività del suo attacco, nel drive imperioso e calzante, nella foga dispiegata nei pezzi veloci nei quali si mangia letteralmente le note e accentua al massimo la scansione ritmica, nel caratteristico vibrato soffiante, prerogative tipiche dei trombettisti della città del Delta (pag.342)». Ecco, questo è un esempio illuminante di come Lombardi analizzi la complessa tematica dell'hot-jazz.

Fa impressione già soltanto a guardarlo il nuovo imponente libro di Enrico Merlin 1000 dischi per un secolo (1900-2000: Blues, Classica, Jazz, Rap, Rock, Pop. Il Saggiatore, Milano, pagg.930, € 39). E' un quadratone di cm.23x23 – un formato perlomeno insolito – con un dorso adeguato al numero delle pagine. Si faccia attenzione fin dalla prima sfogliata perché è facile perdersi. La materia è ordinata anno per anno, e di ogni anno sono ricordati in modo telegrafico gli avvenimenti musicali salienti; poi ci sono i dischi prescelti, naturalmente senza alcuna distinzione o predilezione di genere. «Mille dischi per un secolo» non è un catalogo, non è una lista oppure l'elenco dei "The Best Of…" o dei dischi che bisogna avere: così ha scritto Luciano Viotto, uno dei pochi che lo hanno visto in anteprima.

Enrico Merlin ha avuto il coraggio di addentrarsi in un labirinto sonoro con una propria bussola precisa e ferma, con le sue idee e perfino con i suoi aneddoti. Non si riesce a immaginare chi altri lo avrebbe avuto. Un'impresa così non si può recensire nel senso usuale del termine, ma soltanto segnalare con molta convinzione. E' un'opera da tenere a portata di mano e da consultare quando, come e dove se ne avverta il bisogno. Ha anche una sua bellezza grafica all'interno e all'esterno, con quei due dischi, un 33 giri e un cd in campo bianco, che sembrano abbracciati; in quarta di copertina Stewe Berkowitz auspica (condivido) che il librone sia tradotto subito in inglese. Per quanto riguarda l'autore che ho il privilegio di conoscere bene e che non ha mai sgomitato per conseguire la notorietà che merita, è giusto si sappia che Merlin, musicista, storico della musica del Novecento e didatta, è un esperto assoluto della vita e dell'arte musicale di Miles Davis, al quale ha dedicato un catalogo discografico completo. Per il Saggiatore ha pubblicato con Veniero Rizzardi «Bitches Brew, genesi del capolavoro di Miles Davis», 2009.

Eurojazzland, curato da Luca Cerchiari, Laurent Cugny e Franz Kerschbaumer (un italiano, un francese e un austriaco, se per caso qualcuno non li conoscesse) è un libro scritto in inglese ed è edito negli Stati Uniti dalla NorthEastern University Press, Boston, 2012. Si definisce, con una certa audacia, «il primo libro al mondo che parla del rapporto fra Europa e Jazz». Il sottotitolo precisa: «Jazz and European Sources, Dynamics and Contexts». Ha 486 pagine rilegate e un aspetto molto elegante. In Italia si trova facilmente nelle migliori librerie, costa € 28 e si può reperire, con ulteriori notizie e prezzi di favore, anche sul web.

Ovviamente se ne auspica (vale senz'altro la pena) la traduzione in italiano che sembrerebbe abbastanza prossima, senza però che finora sia precisato l'editore. Le principali collaborazioni si devono a Luca Cerchiari che scrive il capitolo "Canzoni urbane, melodie sacre e repertori orali: il repertorio europeo da Autumn Leaves a O' Sole Mio". Arrigo Cappelletti interviene con "Across Europe: l'improvvisazione come viaggio reale e metaforico", accennando anche all'etichetta discografica tedesca Ecm. Davide Ielmini presenta un'intervista al pianista e compositore Giorgio Gaslini, uno dei protagonisti del jazz europeo del secondo Novecento: "Pensieri orchestrali: la composizione jazz in Europa e in America". Gianfranco Salvatore approfondisce "I suoni dell'utopia: mimesi e identità nelle tecnologie del jazz europeo". Altri collaboratori europei e americani sono Laurent Cugny, Franz Kerschbaumer, Bruce Boyd Raeburn, Martin Guerpin, Vincent Cotro, Rainer Lotz, Catherine Tackley Parsonage, John Edward Hasse, Manfred Straka, Alyn Shipton, Ekkehard Jost, Juergen Arndt, Tony Whyton, Mike Heffley, Herbert Hellhund. Mica male.

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