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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2013 alle ore 18:23.

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Dal sito umbriajazz.comDal sito umbriajazz.com

Orvieto – Adesso che la Ventesima edizione dell'Umbria Jazz invernale, importante anche per via della ricorrenza, passa in archivio come una delle migliori, si può ripensare alle due principali preoccupazioni della vigilia con un respirone di sollievo. Una l'aveva procurata l'ineffabile ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi, il ventiquattresimo della serie (!) da quando il dicastero è stato istituito nel 1974. In prima battuta, Ornaghi aveva negato al festival il consueto finanziamento statale «per mancanza di criteri di qualità» e perché «il jazz non è espressione della cultura italiana», chiaramente ignorando che oggi il jazz italiano è considerato fra i migliori al mondo. All'ultimo istante era stato costretto a rimangiarsi la prodezza con l'espediente di smistare la sovvenzione al Comune di Orvieto. Proprio mentre – vedi il caso – compariva sulla Domenica del Sole 24 Ore del 23 dicembre scorso, a pag. 32, un articolo di Sergio Luzzatto severissimo con Ornaghi e con i suoi predecessori salvo due, Alberto Ronchey e Antonio Paolucci. Un articolo da condividere in pieno, tanto più che Luzzatto di certo non sapeva l'ultima di Ornaghi.

La seconda inquietudine riguardava la crisi economica generale che aveva suggerito al direttore artistico di Umbria Jazz, Carlo Pagnotta, l'estensione del criterio degli artisti in residenza, per cui quasi tutti i gruppi e i solisti hanno eseguito cinque concerti corrispondenti ai cinque giorni della rassegna, seppure in sale e in ore diverse. Invece, come si vedrà da quanto riferisco qui di seguito, si è ascoltata tanta musica eccellente e non ripetuta. Per quanto mi riguarda mi attengo al solito principio, quasi obbligatorio nei festival, di raccontare o citare soltanto gli eventi principali.

Ancora una volta, a Orvieto come a Perugia, ha trionfato la magica voce di Dee Alexander con il suo Evolution Ensemble formato da solisti illustri quali Tomeka Reid violoncello, Scott Hesse chitarra, Junius Paul contrabbasso, Ernie Adams batteria-percussioni e con la partecipazione speciale di Nicole Mitchell flauto. Rievochiamo specialmente la storia italiana di Dee, Tomeka e Nicole, tre signore della musica incontrate per la prima volta a Perugia nell'estate del 2009 con l'orchestrone dell'Aacm di Chicago nel quale non furono notate come meritavano, ma poi per fortuna non mancarono le occasioni per capire in pieno il loro valore. Evolution ha tenuto cinque concerti del tutto diversi l'uno dall'altro (il migliore è stato forse l'ultimo, il più difficile, ispirato al rhythm'n'blues di James Brown). E Dee ha potuto esibire la gamma incredibile della sua tecnica vocale che ha ricordato addirittura Cathy Berberian, nonché la sua capacità di attraversare i dal blues al gospel, dal soul al rhythm'n'blues e alla musica accademica europea.

Vive emozioni ha suscitato Paul Morelenbaum con la sua voce e le movenze sensuali della sua danza. Con il «Cello Samba Trio» c'erano in primo luogo lo straordinario violoncellista Jaques Morelenbaum, di lei compagno nella vita, ben conosciuto dai musicofili più attenti, e alla chitarra acustica Lula Galvao e alla batteria Marcelo Costa, raffinati e pertinenti entrambi. Si spera che la presenza ad alto livello (Reid, Morelenbaum e Gionata Costa di Quintorigo) del nobile violoncello, stranamente trascurato dal jazz e dintorni, sia il preludio di un'opportuna rivalutazione. Il pianista Giovanni Guidi si è esibito in trio con Thomas Morgan contrabbasso e Joao Lobo batteria, Il giovane virtuoso umbro è da vari anni non più una rivelazione ma una sicurezza assoluta del jazz internazionale, capace di concerti di sottile e intensa espressività sostenuta da tecnica «giusta» e da un repertorio adeguato. Una folata di aria fresca e salutare, ossia di jazz tradizionale e classico sempre più raro nei grandi festival, è venuta dall'orchestra "quasi grande" del trombonista Mauro Ottolini la cui insegna – Sousaphonix Bix Factor – è di per sé un programma. Ha ricevuto applausi comvinti e incondizionati un po' nostalgici, un po' pensosi e molto divertiti: è un sentiero da percorrere ancora.

I magnifici cinque di Quintorigo hanno lasciato il prediletto repertorio di Charles Mingus, con cui hanno conquistato l'ambiente del jazz, per quello di Jimi Hendrix: ma di Mingus hanno presentato come ospite il vocione del figlio Eric. Sono piaciuti, con qualche riserva da parte di chi è un tantino saturo di "terrific sounds". Gino Paoli e Danilo Rea formano non da oggi un duo affiatato di voce e pianoforte in grado comunque di ben figurare per classe e musicalità. Ovviamente, dato il tipo di pubblico, i maggiori consensi sono toccati a Rea, specie per una sua magnifica e solitaria incursione creativa nella musica dell'indimenticabile Fabrizio De André. Con molto piacere si è ascoltata la «reunion» del quintetto di Giovanni Tommaso, Flavio Boltro, Pietro Tonolo, Danilo Rea e Roberto Gatto che vent'anni fa parteciparono alla prima edizione dell'Umbria Jazz orvietana. Passa il tempo, i capelli si diradano ma i cinque sono sempre stupendi, anzi migliori. La serata conclusiva è stata dedicata alla premiazione di alcuni vincitori del Top 2012 della rivista Musica Jazz: Franco D'Andrea, Mauro Ottolini che del sestetto di D'Andrea fa parte ed Enrico Zanisi, con l'instancabile Giovanni Serrazanetti ed Enzo Capua nel ruolo di fini dicitori.

Altri musici esigono quanto meno una menzione: così il Nashville Gospel Superchoir diretto da Bobby Jones, apprezzato anche da chi non ha grande simpatia per questi canti corali; la voce e la presenza scenica di Kurt Elling; e il sempreverde Gegè Telesforo con la sua Nu Joy Band di cui si segnala il bel cd omonimo fresco di stampa.

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