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Questo articolo è stato pubblicato il 06 gennaio 2013 alle ore 08:21.

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Dopo Baaria, Giuseppe Tornatore ha spiazzato tutti con un thriller geometrico, mentale, ambientato in una indefinita località della mitteleuropa, con una trama che sembra a metà tra Henry James e qualche austriaco del catalogo Adelphi. Eppure, a ben vedere, i personaggi, i temi di La migliore offerta sono inconfondibili. Il film appartiene al versante nero, claustrofilo del regista, quello nutrito dai meccanismi della suspense, da Una pura formalità a La sconosciuta. Al centro del nuovo film c'è Virgil Oldman (Geoffrey Rush, elegante istrione d'altri tempi), antiquario, battitore d'aste collezionista in proprio con metodi non proprio ortodossi (con la complicità dell'amico Billy, interpretato da Donald Sutherland). Virgil, che indossa sempre dei guanti, è fobico, anaffettivo, maniacalmente solo e chiuso nelle proprie ossessioni, che coltiva con profitto. Un giorno, però, una misteriosa ragazza, Claire, lo chiama al telefono per affidargli la vendita dei beni di famiglia contenuti in una villa. Comincia così un rimpiattino con quella che all'inizio è solo una voce, una figura che si porge e si nega, affascinandolo sempre di più. La prima cosa che Virgil scopre è che la ragazza vive proprio nella villa, in appartamenti segreti nascosti dietro un trompe-l'oeil. E nel frattempo, lì in giro, si trovano degli strani ingranaggi che sembrano pezzi di un automa. È l'inizio di una storia che si costruisce a vista, pezzo a pezzo, sotto gli occhi dello spettatore, proprio come l'automa. Il rapporto tra Virgil e Claire è un po' l'impresa di un cavaliere che deve salvare la principessa prigioniera, e un po' un rispecchiamento di sguardi e di ossessioni tra due monadi. Un gioco astratto, ma non freddo, con la sua aria rétro e quietamente cinefila: Claire si chiama Ibbetson, come il Peter Ibbetson del romanzo di George Du Maurier, che diventò un celebre mélo cinematografico con Gary Cooper (in italiano, Sogno di prigioniero). E l'automa, come già in Hugo Cabret di Scorsese, è anche il cinema: non ci stupiremmo, man mano che gli ingranaggi si incastrano, di veder comparire un proiettore o una cinepresa (in fondo, il gesuita Atanasius Kircher, secentesco costruttore di automi, pose anche le basi della lanterna magica... ). Il cinema di Tornatore, sotto le sue apparenze calorose e colorate, nasconde un cuore nero, ossessivo, tra il gotico e misantropo (che sia questa la cifra più autentica della sua discendenza isolana, quella di Fiore, Pizzuto, Piccolo e Bufalino?). E così i suoi personaggi: Virgil è della stessa schiatta del pianista sull'oceano, dello scrittore di Una pura formalità e del boss visionario del Camorrista, stretto tra quattro mura di un carcere. La regia sembra adeguarsi al personaggio, meno sontuosa del solito, più sospesa, con un efficace controllo della suspense: eppure, alla fine, se ne distacca con un lungo carrello indietro, quasi con malinconica ironia.
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