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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2013 alle ore 18:29.

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Nathalie Djurberg, "Once Removed on My Mother's Side", 2008Nathalie Djurberg, "Once Removed on My Mother's Side", 2008

Fino al 27 gennaio è possibile visitare, allo spazio che il fiorentino Palazzo Strozzi dedica al contemporaneo, «Francis Bacon e la condizione esistenziale nell'arte contemporanea». Imperdibile, ma da maneggiare con cautela, soprattutto se facili preda di turbe psichiche, è l'omaggio che la Strozzina dedica all'arte di Bacon a venti anni dalla morte. Esposti un nucleo di otto dipinti del maestro britannico, inclusi tre, incompiuti, ritrovati nel suo studio all'atto della morte e visibili per la prima volta in Italia. C'è pure il suo ultimo lavoro, l'intenso autoritratto che stava sul cavalletto dello studio londinese mentre Bacon salutava questo mondo nel 1992 a Madrid.

Scanditi dalle sue opere, quasi pentagramma di una partitura che è un viaggio nei meandri della nostra psiche e delle domande esistenziali con cui l'uomo si confronta (e che la contemporaneità volentieri censura) i lavori «site-specific» di cinque artisti selezionati da Franziska Nori, «giovani ma già abbastanza affermati e caratterizzati, in modo che la loro opera non finisca schiacciata da Bacon», precisa. Nathalie Djurberg, Adrian Ghenie, Arcangelo Sassolino, Chiharu Shiota, Annegret Soltau creano i loro mondi di inquietudini e fisicità disturbanti, ognuno il suo, dalla fiaba nera della rete di Chihararu Shiota al contrasto delle plastiline di Nathalie Djurberg, con il suo linguaggio infantile e la realtà disturbante, quasi un pugno nello stomaco.

C'è un'artista come Annegret Soltau, nella traccia della body art autolesionista, o Arcangelo Sassolino, una sfida al visitatore col suo gigantesco pistone incontrollabile. Mentre Adrian Ghenie, probabilmente quello che a colpo d'occhio appare più debitore a Bacon, in virtù del medium scelto, trasforma la classica torta in faccia dei film muti in un abisso aperto sull'umana disperazione. Ma tutti, ci racconta la Nori, andando a ritroso nella loro formazione, si sono resi conto di avere grossi debiti con l'artista nato a Dublino da famiglia inglese. E che giganteggia su tutti, forte della sua ispirazione, di un'esistenza che ha affrontato due conflitti mondiali, il suicidio dell'amato compagno, il ripudio del padre che non accettava la sua omosessualità, e chi più ne ha più ne metta. Senza dimenticare il commovente gesto di donare l'intero importo del Rubens Prize alla città di Firenze, devastata dall'alluvione nel '66.

Bacon calamita non solo colla forza dei sui dipinti, ma con tutta quella messe di preziosi materiali provenienti dalla Dublin City Gallery The Hugh Lane (che dal '98 conserva integralmente lo studio londinese dell'artista), appunti, foto, pagine di libri, immagini di riviste, spesso non interventi grafici suoi, tormentati, vissuti, studiati, collezionati ossessivamente. Uno squarcio sull'intimità di un inimitabile processo artistico, una selezione curata da Barbara Dawson, direttrice della Dublin City Gallery, per un materiale fragile e imperdibile, che dopo la tappa fiorentina, proprio per tutelarlo, non lascerà mai più Dublino.

Francis Bacon e la condizione esistenziale nell'arte contemporanea
Nathalie Djurberg, Adrian Ghenie, Arcangelo Sassolino, Chiharu Shiota, Annegret Soltau
Firenze, Strozzina (Centro di cultura contemporanea a Palazzo Strozzi), fino al 27 gennaio 2013
www.strozzina.org

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