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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2013 alle ore 15:47.

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Celebrato in Italia e all'estero per le sue opere letterarie, passato alla storia per Cristo si è fermato a Eboli (1945), il capolavoro scritto durante gli anni del confino in Lucania, Carlo Levi fu anche, pochi lo ricordano, un grande pittore. Anzi, non si capisce fino in fondo l'impegno culturale e politico dell'intellettuale a favore del Mezzogiorno, se non si indaga anche la sua produzione pittorica.

Per questo la Fondazione Giorgio Amendola (http://www.fondazioneamendola.it/?p=451), insieme con l'Associazione Lucana Carlo Levi di Torino e l'omonima fondazione romana, dedicano alla pittura dell'artista una mostra, dal titolo «Carlo Levi. Il pane di Parigi, il pane di Matera (1923-1973)», visitabile negli spazi di via Tollegno 52, a Torino fino al 15 marzo.

Si tratta della prima, vera, personale allestita nel capoluogo piemontese, dopo la scomparsa dello scrittore-pittore che, nato nella città sabauda nel 1902, volle essere seppellito, nel 1975, ad Aliano, in provincia di Matera.

Curata da Loris Dadam e Guido Sacerdoti, l'esposizione ricostruisce l'evoluzione artistica di Levi dal 1923, quando, a vent'anni, subisce ancora l'influenza del maestro, Felice Casorati, per passare agli anni del viaggio iniziatico nella capitale francese («Il pane di Parigi»), dove manifesta una sensibilità post-impressionista, suggellata dall'ingresso nel gruppo dei «Sei di Torino» (Levi, Galante, Paulucci, Menzio, Chessa e Boswell) e, infine, arrivare al periodo dell'impegno sociale («il pane di Matera»), che dal punto di vista pittorico ha il suo culmine nel grande telero (metri 3,20x18,50) Lucania, presentato per la prima volta a Italia '61. Dopo cinquant'anni, una riproduzione di quest'opera straordinaria è visibile alla Fondazione Amendola, insieme a una quarantina di altri quadri di Levi, in gran parte inediti.

L'artista cosmopolita, allievo di Casorati dal 1920 al 1926, ha impiegato all'incirca lo stesso tempo, sei anni, per liberarsi della sua influenza, e uscire dai labirinti, apparentemente razionalisti, del maestro, fino ad approdare a una personalissima forma di espressionismo pittorico. Un percorso che parte dall'iperrealismo di Signora con cappello e Natura morta su un foglio (1926) al gestualismo rembrandtiano del 1932, passando per le frequentazioni parigine (1927-1933), che hanno prodotto opere assolutamente originali (come Paulucci e Madre classica, profilo (1929), e Autoritratto a torso nudo, Caramelle Baratti (1930), per giungere alla grande pittura del confino, presente nella mostra con sei opere molto significative: Paesaggio Grassano come Gerusalemme (1935), Paesaggio di Lucania (1936); Due uomini che si spogliano (1935) e tre ritratti di Luisa Levi, La figlia scarmigliata della strega e Il figlio del dottore (1936).

Ma è come ritrattista che Levi dà, in tutti i periodi della sua vita, il meglio di sé, perché qui si esprime la sua dote maggiore: cogliere il fenomeno nella sua fisicità, la realtà per quella che è: quella dei contadini, ad esempio, è immutabile e assoluta.

Carlo Levi. Il pane di Parigi, il pane di Matera
Torino, Fondazione e Associazione Amendola,
via Tollegno 52
Fino al 15 marzo 2013
fond.giorgioamendola@libero.it

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