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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2013 alle ore 08:17.
Nella vasta area multiculturale e multietnica dell'impero bizantino, tra il X e l'XI secolo, il nobile georgiano Eutimio, monaco ed eremita del monte Athos, traduceva in greco l'agiografia georgiana di due personaggi straordinari, Barlaam e Ioasaf.
In quell'ambiente di integrazione e scambio tra culture, non stupisce naturalmente che un nobile circasso come Eutimio – che prima di abbracciare il monachesimo era stato ostaggio a Bisanzio, in seguito alle complesse relazioni tra impero bizantino e nobilità georgiana – avesse compreso da molto tempo che tradurre dal greco al georgiano scritti come i commenti ai vangeli di Giovanni Crisostomo o i testi di Basilio il Grande, o come molti classici della letteratura e della filosofia, quasi settecento opere in tutto, fosse un'operazione importante e anzi fondamentale per il suo Paese d'origine. Ma in fondo non deve stupire neppure che, almeno nel caso della Vita di Barlaam e Ioasaf, egli abbia compiuto l'operazione inversa, cioè rendere disponibile al mondo greco-bizantino le vicende favolose di quel Ioasaf, già considerato santo in Georgia, che riecheggiavano «dalle più remote plaghe della Terra degli Etiopi, detta anche degli Indiani».
Non si trattava però di una traduzione nel senso che abbiamo oggi noi del termine, ma di un vero passaggio tra culture, di una rinarrazione, arricchita della sapienza e di temi bizantini, con aggiunte tratte da Giovanni Damasceno, o ispirate ai Padri della Cappadocia, con allusioni alla vicenda iconoclasta, con l'assunzione di temi della cultura monastica e delle esperienze eremitiche.
E a ben vedere, noi oggi lo sappiamo, il Balavariani, cioè l'agiografia georgiana tradotta da Eutimio, non era il racconto fiabesco della vita di un santo cristiano proveniente dall'India e dell'eremita che lo convertì, ma addirittura la versione cristianizzata della vita del Buddha.
La vicenda del resto è chiaramente riconoscibile. Il figlio di un re viene costretto dal padre a vivere all'interno del palazzo reale, con una vita dolce e agiata, senza vera conoscenza dell'esterno. Il re vuole così impedire che a contatto con il mondo si possa verificare la profezia espressa al momento della nascita del principe, secondo la quale egli sarebbe divenuto un asceta (nella versione cristiana il principe è destinato a diventare cristiano, mentre il padre, pagano, è un crudele persecutore di monaci e ha messo al bando il Cristianesimo).
Ma il figlio, ormai adulto, ottiene di poter uscire dal palazzo almeno una volta e scopre con sgomento che esistono la malattia, la vecchiaia e la morte. Comincia così il suo risveglio, o la sua conversione, assecondata nella variante cristiana dall'incontro con l'eroico eremita Barlaam.