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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2013 alle ore 19:18.

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Restano poche repliche per assistere alla rappresentazione della notte tunisina nella quale Vitaliano Trevisan avvolge l'ultima parte della parabola di vita di Bettino Craxi. Considerata giustamente una perla di rigore teatrale, la pièce "Una notte in Tunisia" diretta da Andrée Ruth Shammah tratteggia, attraverso il corpo dolente e la voce rotta e cadenzata di un Alessandro Haber semplicemente impeccabile, un epilogo esistenziale e un congedo politico dai caratteri umanissimi.

Sotto la tenda che ripara dal vento, da una veranda a strapiombo sul mare nella sua casa tunisina, il protagonista (nel testo chiamato solo X) riceve il fratello e la moglie per un'ultima cena. Durante il dialogo smonterà un rocambolesco tentativo di rimpatrio architettato per lui dalla famiglia e consegnerà ai suoi pochi commensali, i suoi ultimi uditori, il suo solo pubblico rimasto, i fogli del suo testamento politico. Un testamento che Haber recita come Craxi soleva declamare alla Camera dei Deputati, un testo fatto di rivendicazioni rancorose ma anche di disilluse istantanee sull'Italia che ha lasciato.

Al termine di un breve passaggio iniziale (forse un po' sottotono, nel quale moglie e fratello introducono la condizione di salute di X ormai compromessa), Haber entra in scena e rapisce il pubblico per la restante parte di rappresentazione. Una misura quasi incredibile di mimesi e interpretazione personale, la sua, senz'altro una delle prove d'attore più riuscite che possa capitare oggi di incontrare.

Si tratta di un virtuosismo che non è fine a se stesso: il lungo e verbosissimo (ma mai basso o banale) monologo craxiano è sostenuto con un'alternanza dosata di distacco e partecipazione, interrotto solo dalle laconiche risposte del cameriere Cecchin, che – nell'invenzione narrativa – l'ha seguito in Tunisia fin dalla portineria dell'Hotel Raphael.

Proprio Cecchin (Pietro Micci, sempre ironico, a tratti persino comico), fa da spalla con tempismo perfetto all'ultima interpretazione del politico al tramonto. X è un uomo malato, ma il cancro che egli descrive e che lo divora è la metafora di un'Italia piena di metastasi: asportare la parte compromessa bastò a guarire il paziente?

La risposta di Craxi è no: dicendo questo, dichiara implicitamente lo scacco di un'intera esperienza politica, compresa la sua.
Sospeso tra un personaggio shakespeariano e – come è stato correttamente notato – un anti-eroe bernhardiano, X è rievocato nella sua complessità controversa, e questo è senz'altro un merito dell'allestimento.

Lo spettacolo, al quale abbiamo assistito al Teatro Franco Parenti nella bella e significativa data del 40° anniversario della sua inaugurazione, ha convinto e diviso. Il rischio che si è presa la regista milanese Andrée Ruth Shammah nell'affrontare questa storia è stato grande: ha sottratto la figura di Craxi alla dimensione contingente, aprendo – ne ha merito senz'altro anche il testo di Trevisan, che tiene conto del libro di Bobo Craxi e Gianni Pennacchi "Route El Fawara" – a una prospettiva più ampia, esistenziale.

Dolorosa di un dolore convincente, che suona autentico come l'amarezza di una fine. Se è davvero così, non è da sottovalutare l'occasione per ripensare con lucidità e distacco una parte importante di storia recente, soprattutto per quelle generazioni che non hanno vissuto il corrotto epilogo della Prima Repubblica. In questo modo, se pure la sensazione alla fine resta quella di una sconfitta, il legittimo giudizio politico può essere affiancato alla considerazione di un'articolata esperienza umana.

Una notte in Tunisia
di Vitaliano Trevisan
con Alessandro Haber
e con Maria Ariis, Pietro Micci e Roberto Trifirò
uno spettacolo di Andrée Ruth Shammah
Produzione Teatro Franco Parenti
si ringrazia per la collaborazione Gli Ipocriti

Al Teatro Franco Parenti
Fino al 20 gennaio
21 gennaio, Viareggio, Teatro Politeama
22 gennaio, Pontedera, Teatro Era
23 gennaio, Amelia(TR), Teatro Sociale

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